Partiti e politici

Quando il popolo diventa plebe e calpesta il pane di chi ha fame

3 Aprile 2019

“Fate schifo, zozzoni, gli portate pure da mangià, devono morire di fame”. Queste le parole gridate da un gruppo di cittadini di Torre Maura, periferia est di Roma, agli addetti del Comune che stavano consegnando dei panini alle 70 persone di etnia rom destinate a una struttura di accoglienza della zona. Ad aizzarli e a spingerli a calpestare quei panini per renderli immangiabili, i soliti “fascisti del terzo millennio” di Casa Pound. Ciò che è accaduto nell’anello più esterno della “Capitale immorale” di un Paese allo sbando, è stato l’ennesimo segnale di una regressione di una società che vede erodersi i valori più banali che dovrebbero tenerla insieme, dall’antica pietas a tutti quei rudimenti laici e cristiani che per secoli sono stati punti di riferimento per il popolo.

Perché il pane non è solo cibo, è anche simbolo: è il frutto del sudore e del lavoro del bracciante senza Dio, è il “corpo di Cristo” per il credente. Per questo il pane non si butta e non si spreca, tanto sulle ricche tavole delle famiglie benestanti che su quelle modeste e spartane di quelle più povere. Ieri, a Torre Maura, il pane è stato calpestato. Quel gesto, quella manifestazione del più grezzo odio razziale misto a ignoranza, è stato quasi un rito di iniziazione: quella di un popolo che regredisce a plebe.

Nel novembre del 2014, nel vicino quartiere di Tor Sapienza, ci furono giorni di guerriglia urbana contro un centro che accoglieva dei rifugiati in viale Giorgio Morandi, di fronte a uno dei tanti complessi popolari dall’architettura avveniristica degradati da decenni di incuria e criminalità. In quel quadrante, da anni gruppi di cittadini guidati da comitati di quartiere che fanno capo all’estrema destra organizzano ronde notturne che, di fatto, si traducono in una caccia all’immigrato.

La verità è che in ogni periodo buio della storia i più disagiati diventano strumento e merce di chi esercita il potere declinandolo nella sua accezione più negativa: quella della sottomissione del prossimo. La chiamiamo, banalizzando oltremodo la questione, “guerra tra poveri”: ma in guerra ci sono vincitori e vinti, mentre nelle discariche in cui la miseria si sfoga contro altra miseria vince solo chi la guerra non la fa e dalle vigliacche retrovie agita i bassi istinti dei penultimi per raccogliere un facile consenso. Vincono gli agitatori di bile, che su quella rabbia più vicina all’istinto animale che al pensiero di un essere pensante radicano la malsana idea di una società chiusa in sé stessa. Nel secolo breve scelsero di chiamarsi fascisti.

A Torre Maura hanno perso tutti. Hanno perso quelle famiglie rom che con fatica vorrebbero integrarsi e mandare i loro figli a scuola, hanno perso le istituzioni che si sono piegate alla violenza, ha perso quel popolo regredito a plebe che calpestando quel pane ha calpestato anche se stesso.

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