Partiti e politici
Putin e il grave errore della Ditta Alesina & Giavazzi
Il consueto editoriale della stimata ditta Alesina&Giavazzi, stimata non per celia ma per convinzione, stavolta prende un granchio colossale per almeno due motivi. Il primo, la attenta riflessione riguarda solo la borghesia produttiva del Nord e sembra non comprendere la rivolta del Sud che sarebbe un errore veramente grossolano mascherare solo con il reddito di cittadinanza. Secondo, perché non è vero che la borghesia produttiva del nord sia composta prevalentemente da imprenditori e che non abbia in conto la politica, la consideri una sovrastruttura rispetto alla propria azienda, non si aspetti cambiamenti significativi da essa e in definitiva non abbia espresso nelle urne un interesse autentico e coerente per le scelte che ci attendono. L’errore che smonta l’elzeviro è che parlano a un interlocutore inesistente, quello che in altre stagioni sarebbe stato considerato “l’imprenditore illuminato” o comunque parte di un gruppo dirigente molto ristretto, identificato a volte con quei “poteri forti” che la demagogia inventa per coprire una sorta di odio di classe fomentato dalla avversione verso ogni privilegio rispetto a chi crede di averne almeno un po’ diritto ma inutilmente, essendo nato dalla parte sbagliata: quella che lavora.
È vero: nel passato questa borghesia votò Dc turandosi il naso e Repubblicani per chiedere miglioramenti incrementali, sostenere indirizzi economici di interesse nazionale all’interno di un quadro internazionale definito. Non ha mai chiesto la rivoluzione francese, accettavano lo status quo dei trasferimenti clientelari o chiedeva riforme brisottine. Temevano giacobini e montagnardi e sanculotti perché esisteva la percezione di un potenziale scontro di classe, perché altri partiti a quelle classi parlavano strizzando sempre un occhio benevolo alla borghesia senza risultarne però credibili. Certo, un pezzo di essa sembrava “aperta a sinistra” e non solo in Italia, la celebre cena a casa Bernstein per la quale Tom Wolf coniò il termine “radicalchic” per esempio, ma la maggioranza era ben radicata su scelte di continuità, interclassiste, che con il debito pubblico regolavano la pace sociale. Non ricordo contratti di lavoro che si siano chiusi senza la mediazione del governo e la mediazione sappiamo in cosa consisteva.
Mai come in queste elezioni gli italiani del Nord, non più brissottini ma molto sanculotti incazzati hanno invece votato con il portafoglio perché la rivoluzione non la scelgono ma se arriva va bene: pieno o vuoto fosse quel portafoglio hanno scaricato i partiti dell’Interesse Nazionale e scelto sindacalisti locali, quasi personali. Non c’è nel voto al Nord un approccio ideologico alla Lega, non vi è alcuna voglia di variazioni incrementali “liberiste”, di responsabile assunzione di vincoli europei. Risiede una volontà quasi rivoluzionaria di essere italiani ma non parte dello Stato Italia, di rifiutare dal profondo della pancia e pure della testa ogni variazione incrementale perché il debito non è considerato un peso comune e perché l’idea che la pressione fiscale rimanga costante è insopportabile quanto il rapporto inesistente e aspramente conflittuale con le strutture dello Stato Italia. Uno stato percepito come un autentico avversario dei propri obbiettivi, un peso irriformabile attraverso la democrazia come dimostrano di converso gli applausi a Putin, un costo insostenibile non solo economicamente ma psicologicamente. Ed è un voto socialmente “profondo e denso” perché non si ravvede alcun conflitto di interesse tra un lavoratore e il suo datore di lavoro ma tra i due e lo Stato: in una sintesi estrema, non si può togliere attraverso la Fornero (necessario) e non distribuire un dividendo fiscale sfondando oltretutto le regole europee di contenimento del debito pubblico, non sono scemi gli elettori: da una parte togli e molto, vita e quattrini, e dall’altra non mostri che le cose possano cambiare e che la pressione fiscale e la burocrazia non assurda ma dichiaratamente nemica rimanga lì, privilegiata, mantenuta e intoccabile. Non essendo il Debito Pubblico percepito come un vincolo nazionale (come lo fu la collocazione internazionale con il muro) e nemmeno come un valore solidale trova gioco facile sparare sulla Europa, sulla immigrazione, sul Sud del reddito di cittadinanza. Dire che la borghesia produttiva non si occupi e non si sia occupata di politica con queste elezioni mi pare proprio una sciocchezza questa sì salottiera anche perché sono almeno 20 anni che progressivamente dal Nord arrivano questi segnali.
La crescita economica non può supplire alla incazzatura (scusate il termine ma la parola “disagio” molto più elegante è fuoriluogo) perché è una crescita debole e a macchia di leopardo, non investe la società con i medesimi effetti, ma positivi, degli effetti, ma disastrosi, della invadenza inefficiente dello Stato Italia.
Questi venti anni di fallimenti politici hanno portato a conseguenze sociali pesantissime che non sono solo l’impoverimento del ceto medio ma al rinascere dei più sopiti sentimenti della borghesia italiana del Nord: il discredito della democrazia, la scomparsa di un residuo senso dello Stato Italia (sia idealmente unitario che strumentalmente statuale), alla predisposizione alla accettazione dei toni politici più accesi, alla paura che non genera più rancore ma rivendicazione di popolo e sangue (con ciò che sappiamo comporta se vogliamo ricordarlo ma con la gran voglia di dirlo, giustificarlo con l’evidenza bianco/nero, con il rifiuto della modernità come intrusione nella propria vita). In una parola, con l’applauso a Putin, a qualcuno che della burocrazia faccia giustizia senza processo e senza quei check and balance considerati un ostacolo rispetto alle nostre aspirazioni. In una parola ancora, il vecchio trade off meno libertà/più sicurezza dove la sicurezza è la salvaguardia del proprio portafoglio e, paradossalmente, più libertà individuale.
La politica della manutenzione del debito, del battere i pugni sul tavolo dell’Europa per avere più margini, della accettazione della immutabilità della macchina statuale esce a pezzi, che non sarebbe un danno. Ma ha fatto a pezzi lo Stato, la democrazia e rischia di fare a pezzi tutti quanti, libertà comprese.
Se no, perché inneggiano a Putin?
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