Partiti e politici
Purché se ne spammi: le nuove paure che dettano legge e riempiono le piazze
L’economista francese Jean-Baptiste Say è passato alla storia per la legge che porta il suo nome. Semplificando un po’, potremmo enunciarla così: l’offerta crea sempre la propria domanda. “Il fatto solo della formazione di un prodotto – scrive Say – apre all’istante stesso uno sbocco ad altri prodotti.” Ogni produzione, quindi, trova il suo sbocco naturale sul mercato che, liberato di lacci e lacciuoli, è destinato all’equilibrio di piena occupazione. Sarà Keynes nella Teoria generale a criticare la legge di Say sulla base del principio di tesaurizzazione, sostenendo la necessità di riequilibrare l’insufficiente domanda aggregata attraverso politiche espansive.
A molti la legge di Say potrà sembrare un ferrovecchio ma io credo abbia ancora molto da insegnarci. Ad esempio, provate ad applicarla non ad un mercato generale e perfetto, ma ad uno molto più prosaico e terreno: il mercato della paura.
Nella storia dell’umanità, la domanda di paura è sempre esistita ma è ragionevole pensare che, nell’attuale fase storica, il consumo di paura sia in costante crescita. Non sto parlando della letteratura o del cinema horror. Parlo dell’horror vacui che ci circonda e che ormai ha un gradiente in divenire di declinazioni: paura dello straniero, paura del diverso, paura dei diritti altrui, paura dell’Europa, paura delle malattie, paura delle vaccinazioni, paura del contagio, paura del caldo, paura del futuro, ecc.
L’evoluzione degli ultimi decenni ha portato ad una sorta di diversificazione spinta della paura. Ora non esiste più la paura totalizzante che monopolizza il mercato (il comunismo, il capitalismo, la guerra atomica, ecc.). Oggi la domanda è assai più polverizzata. I consumatori di paura sono sempre più esigenti ed onnivori e ricercano prodotti in sintonia con le proprie specifiche esigenze. Per sopravvivere, la paura deve cambiare il proprio modello produttivo. E, come nella Teoria della Coda lunga, deve adeguarsi ad una nuova distribuzione del gusto.
Ecco perchè ritorna ad essere fondamentale il lato dell’offerta. Proprio come nella legge di Say, la nuova offerta di paura crea la propria domanda.
Prendiamo il caso di Matteo Salvini, un politico sulla bocca di tutti che fa un uso assai sapiente della paura. In ogni suo post così come in ogni apparizione televisiva, ne immette sul mercato dosi da cavallo. La domanda si adeguerà all’offerta, i like aumenteranno e il mercato politico raggiungerà un nuovo punto di equilibrio che, per il leader della Lega, sarà senza dubbio migliore del precedente. Il circolo è vizioso e si autoalimenta in maniera virale, grazie ai meccanismi intrinsechi dei social network. L’effetto è dirompente.
A questo proposito, sono in parziale disaccordo con le ultime considerazioni di Umberto Eco: il problema non sono “le legioni di imbecilli” che hanno guadagnato diritto di parola sui social media; il problema vero è il cambiamento di paradigma sul lato dell’offerta.
Eco paragona le piazze virtuali ai bar di paese, dove un tempo gli “imbecilli” di cui sopra erano liberi di esprimere opinioni di nessun rilievo, destinate a rimanere tra quelle quattro mura o, al massimo, a fare il giro del quartiere fino a quando non venivano del tutto dimenticate. Un parallelo decisamente improprio. I bar di paese – non importa se nella declinazione di Guccini, Ligabue o Max Pezzali – non alimentavano la paura: la incanalavano. Per dirla in altri termini, gli utilizzatori finali dei “bar di una volta” (e perchè no, pure di quelli “di oggi”) non cercavano nuove paure con cui alimentare le proprie frustrazioni ma, molto più semplicemente, trovavano un contraltare alla loro dimensione collettiva. Tale rito sociale oggi è spesso traslato in piazze virtuali che, con il calco d’origine, condividono giusto l’assonanza del nome. I social sono un’altra cosa. Rappresentano il frutto nemmeno troppo maturo di un vero e proprio cambio di paradigma e i più scaltri come Salvini si sono già da tempo attrezzati per sfruttarlo fino in fondo, con un cinismo e una spregiudicatezza degni di miglior causa. Altri, invece, dimostrano purtroppo di non averlo ancora nemmeno inquadrato.
L’hanno compreso alla perfezione, invece, gli organizzatori del Family Day. L’evento ha avuto un ottimo riscontro di partecipazione ma i numeri, veri o presunti, sbandierati dai promotori sono nulla in confronto al can can che hanno saputo sviluppare sui social. E la ragione è sempre la stessa: l’offerta di paura ha generato nuova domanda. Da questo punto di vista, la cosiddetta “ideologia gender” è un autentico capolavoro di marketing della paura: creare un incubo tutto nuovo dal nulla, inventandone di sana pianta i presupposti e riuscendo a spacciarli per veri senza arrossire. Quasi un miracolo.
La legge di Say, dunque, si adatta alla perfezione al mercato della paura. Come sempre, è molto difficile fare previsioni sul futuro. Di certo la domanda di paura ricoprirà un ruolo cruciale in un sistema politico come quello italiano che, di suo, ha una paura folle dei contenuti. Ogni nuova decisione può essere pilatescamente evitata; ogni problema, anche il più urgente, può essere rimandato; ogni nuovo bisogno della società può essere disatteso. Serve solo un po’ di paura, una qualsiasi, in grado di dettare legge. Nel bene e nel male, purché se ne spammi.
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