Partiti e politici
Progetto Renzi: uscire, trasformando il Pd in LeU (4 mosse per Zingaretti)
Quando in autunno inoltrato il Capo darà il rompete le righe, inizierà per la sinistra tutta un’altra storia. Non è detto sia bellissima, è probabile che non lo sia. Il Capo ha già depositato a Firenze il nuovo nome dei gruppi, per cui il dado è molto più che tratto. Dovrebbero seguirlo in tanti, perché il suo progetto “eversivo” li convincerà. L’idea del Capo ovviamente è quella, con il suo nuovo gruppo in Parlamento, di restare nella maggioranza e dare sponda al governo, in modo da garantirsi il tempo necessario per entrare in confidenza con quella parte di Paese che poi lo dovrà eventualmente votare a fine legislatura. Starà dentro col pungolo riformista che gli viene riconosciuto. Romperà i coglioni insomma, in un crescendo che lui definirebbe “costruttivo”. Il progetto eversivo di Matteo Renzi è secco, diretto, e si compone di un unico punto politico: trasformare il Partito Democratico in Liberi e Uguali. Impoverire in maniera così forte la casa madre da trasformarla in un appendice. Portarla fuori dal centro del dibattito, lasciandole naturalmente campo libero solo nelle questioni sociali più demagogiche, dove la solidarietà, ad esempio, travolge il mercato, fino a considerarlo il suo acerrimo nemico. Riuscire a depauperare un partito di cui sei stato anche segretario, rimanendone alleato, non dovrebbe costare poi molto a Matteo Renzi, che ha per la spregiudicatezza un tratto naturale, un po’ come la «Maledetta» di Andrea Pirlo. Alla fine di questo attacco al cuore del Partito Democratico, anche l’elettore più scettico nei confronti di Renzi dovrebbe sentirsi almeno confuso. Significherà aver inoculato un’inquietudine diffusa, il dubbio che quella casa non sia più quella giusta. E allora, come il miglior Roberto Carlino su piazza, il nostro si presenterà ai cittadini elettori con le sue solide realtà. Questa operazione prevede, in corso d’opera, costi umani anche molto alti, che nell’idea di Renzi dovrebbero poi ricompattarsi in una successiva alleanza elettorale.
Sin qui l’eversione renziana. Ma cosa può fare Nicola Zingaretti per neutralizzare, o almeno sterilizzare, quel progetto? Diciamo che può lavorare su quattro punti fondamentali.
1) Minare, presso i suoi, la credibilità del Fenomeno. E in che modo? Con uso di sondaggi. Prima ancora che tutto parta, cioè da subito, il segretario dovrà mostrare ai renziani la crudezza dei numeri, che assegnano a un eventuale partito dell’ex sindaco un massimo del 5%. Per cui dire: ok, tu vai via ma che garanzie hai di essere rieletto? Nessuna. Quelli che torneranno in Parlamento saranno i soliti noti, Meb, il gagà Bonifazi, Luchino, e a seguire cinque o sei seconde scelte. Troppo poco per ficcarsi in un’avventura che potrebbe non vedere uno sbocco al mare. Creare insomma un’inquietudine eguale e contraria, ma in anticipo sulle mosse di Renzi. E poi, parliamoci chiaro: abbiamo fatto un governo sul purissimo istinto di sopravvivenza, di “Legittima difesa” come lo definisce Minzolini, e tu adesso ti infili in un tunnel che non è nemmeno illuminato? Pensaci Giacomino. Se la pesca di Renzi non dovesse dare subito i frutti sperati, l’operazione partirebbe già zoppa e destinata a perdere via via il suo valore.
2) Agganciare l’andamento del governo e i risultati (sperabilmente) ottenuti, alla grande storia del Partito democratico. Lavorare incessantemente sulla comunicazione (che al momento appare molto eterea), ricondurre ogni virgola di miglioramento alla tenacia di un popolo, alla sagacia dei suoi rappresentanti, un loop sentimental-politico che non dovrà lasciare spazio ai guastatori. Dall’altra parte, ovviamente, il mantra sarà quello che si poteva fare di più, molto di più, ma qui sarà utile intendersi: con una alleanza di questo tipo, ogni risultato è la sintesi di interessi spesso divergenti. Giocando sui contrasti, all’esterno si percepirà più nettamente il buono dell’operazione.
3) Il nodo riformista. Un leader di una sinistra illuminata non può essere visto come un pericolo dalle classi più abbienti. La prima cosa che Renzi disse in un comizio, appena segretario, fu che sarebbe andato in cerca dei voti di destra, perché quelli di sinistra da soli non bastavano a vincere. Fu una volgarità, ma aveva ragione. La classe borghese, com’era chiamata un tempo, non ha più riferimenti, è in cerca di. Non è rassicurata da Salvini, perché sul piano dello sviluppo economico non sembra possedere i fondamentali. E francamente non considera quegli scombiccherati dei Cinquestelle. Berlusconi, all’epoca, venne visto come un approdo quasi necessario perché nella vita aveva fatto molto, questo fu un elemento dirimente, aveva un gruppo solido, non aveva mai licenziato nessuno, e, soprattutto, aveva lavorato. Dava più sicurezza. Garantì una rivoluzione liberale che non portò mai a termine, se mai era cominciata. Zingaretti deve mischiarsi di più con i borghesi, sembra quasi che la contaminazione gli faccia paura, ha come il timore che rientrando tra il popolo possa essere considerato un traditore. Ma si possono fare le due fasi con equilibrio, come si dice nel calcio.
4) Azzardiamo l’ipotesi che Nicola Zingaretti sia timido. Ne siamo quasi convinti. Il che, in linea generale, connota le buone persone. Lo vediamo tutti i giorni, mattina presto intorno alle otto, nel bar del quartiere Prati dove prende il suo caffè e cornetto. Vedere una persona, definita di potere, da sola in un luogo pubblico può suscitare una certa impressione. Fu di solitudine quella di Bersani che si beveva una birretta tutto solo. La solitudine dei leader. Forse, e magari gli produrrà imbarazzo, è il caso di contaminarsi di più, di fermarsi a parlare tra i cittadini, salutare, trovare meccanismi per entrare in connessione anche con micromondi che magari non porteranno subito voti, ma sono piccole iniezioni di simpatia. La simpatia conta, lascia sempre un segno nelle persone, personalmente ricordo ancora cose belle e piccole di persone note che accaddero venti, trenta, addirittura quaranta anni fa. Insomma, egregio Nicola, il timido contro lo sbruffone. E vinca il migliore.
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