Partiti e politici

Presidenziali in Austria, è il momento degli outsider

24 Aprile 2016

L’Austria non finisce di frequente sulle prime pagine dei quotidiani italiani, se non per le vittorie della sua nazionale di sci o per qualche approfondimento sulla sua splendida capitale, scheggia cosmopolita e progressista in un contesto rurale e iper-tradizionalista. La Repubblica alpina, cuore pulsante impietosamente estratto dal corpaccione multinazionale dell’Impero asburgico alla fine della Prima Guerra Mondiale (come raccontato magistralmente da Stefano Cingolani su Il Foglio), è oggi un prospero Stato-cuscinetto tra i problematici Paesi mediterranei e il nucleo nordico dell’Unione Europea, di cui è capofila la Germania della Cancelliera Merkel. Dominato storicamente da rigorosi assetti concertativi, è governato da una sonnolenta coalizione formata da socialdemocratici e popolari, che esprimono rispettivamente il Cancelliere e il suo Vice. Quello stesso governo finito sulle prime pagine dei quotidiani italiani per la minaccia di chiudere la frontiera del Brennero, in modo da sigillare il Nord Europa dai flussi migratori provenienti da Mediterraneo e Balcani. Il Cancelliere Werner Faymann, di solido pedigree socialista, è da sempre un politico navigato, abituato a strizzare l’occhio ai settori più conservatori del Paese senza strappi eccessivi con la tradizione della socialdemocrazia austriaca. A vigilare sul governo di grande coalizione, perennemente rallentato dai veti reciproci ma unito nel fare fronte comune contro gli estremisti di destra eredi di Haider, ci pensa il Presidente della Repubblica Heinz Fischer, anche lui socialdemocratico, acquartierato da due mandati nel palazzo che fu degli Asburgo. È stato proprio Fischer, negli ultimi dodici anni, a costringere le due parti a raggiungere compromessi continui, con l’obiettivo di impedire l’ascesa al Cancellierato degli epigoni del carismatico Haider, guidati da Heinz-Christian Strache. Quanto reggerà la Grande Coalizione ora che Fischer ha terminato il suo mandato e si avvia a passare il testimone? È questa una delle maggiori incognite all’ombra del Duomo di Santo Stefano e che gli austriaci tenteranno di risolvere nell’odierna chiamata alle urne per eleggere direttamente il Presidente della Repubblica.

La vera novità di questa consultazione è indubbiamente il ruolo decisivo ricoperto dagli outsider e dagli indipendenti. I candidati in lizza sono sei: il socialista Hundstorfer, il popolare Khol, il nazionalista di destra Hofer, il verde Van der Bellen, l’indipendente Griss e il discusso costruttore Lugner. Tralasciando quest’ultimo (l’Austria ha già visto un altro imprenditore in politica, l’austro-canadese Stronach, con esiti disastrosi), ad andare al ballottaggio avrebbero dovuto automaticamente essere i due candidati “governativi”, entrambi con consolidata esperienza politica e amministrativa. In realtà, il mite Hundstorfer e il grigio Khol rischiano di essere scavalcati dagli indipendenti e rappresentanti delle opposizioni. In tempi burrascosi per temi quali integrazione e immigrazione è scontato il vento in poppa per Norbert Hofer, fine ideologo del nazionalista Partito della Libertà e già tra i Vice Presidenti della Camera dei Deputati. Un candidato giovane ma presidenziabile, complementare al Cancelliere in pectore Strache. Lo stesso Strache che il candidato verde, il professore di Economia Alexander Van der Bellen, si rifiuterebbe di investire quale capo del Governo. Van der Bellen, in passato leader carismatico degli ecologisti austriaci ma con un patrimonio di popolarità ben superiore al ristretto bacino elettorale del partito, è in questo momento in testa ai sondaggi. Tirolese burbero e fanatico delle sigarette, il settantaduenne sembra in grado di contendere la Presidenza agli alfieri dei partiti governativi, anche giocando sulla sua indipendenza rispetto alle gerarchie dei Verdi. La stessa indipendenza su cui punta tutto la giurista Irmgard Griss, ex Presidente della Corte Suprema. A metà strada tra Emma Bonino e Christine Lagarde, la Griss è l’unica candidata donna e si presenta come la sola figura in grado di unire il Paese al di sopra delle beghe tra opposte fazioni. Il suo slogan? “Ora o mai più”.

Interessanti anche le scelte comunicative dei vari candidati. La Griss, sottile signora sessantanovenne, si fa ritrarre nei video con elegantissimi completi a tinte chiare, che tradiscono la sua forte ammirazione per la tedesca Angela Merkel. Alle sue parole iniziali di presentazione, segue un lungo discorso composto da frasi pronunciate da vari elettori, proprio per mettere in risalto il legame tra la candidata e la gente comune. “Basta divisioni, occorrono soluzioni”, è il mantra. In un altro delizioso video, viene accompagnata dalle telecamere mentre fa la spesa sorridente al mercato in un paio di jeans sportivi (dimostrando di essere una “candidata-cittadina“) o mentre ricorda il suo periodo di studio negli Stati Uniti, con una libreria stracolma di testi giuridici alle spalle. Il magazine liberal Profil, pur apprezzandone la forte carica di innovazione, mette però in guardia dai suoi slogan eccessivamente incentrati su temi sociali ed economici, che potrebbero essere difficilmente affrontati e risolti nelle ingessate vesti di Capo dello Stato. Aggressivo come da copione Hofer, che richiama gli elettori a dare il proprio contributo alla “Patria” spalancando per la prima volta i portoni dell’Hofburg a un esponente del Partito della Libertà.

Lo stesso termine (Heimat) che appare, a sorpresa, nello slogan del verde Van der Bellen, che dichiara il proprio amore per l’Austria seguito dalla telecamera mentre scende pensoso le scale del Parlamento (un magnifico edificio neoclassico nel cuore di Vienna) o stringe le mani degli elettori in un anonimo giaccone invernale. Lo slogan della campagna è una diretta citazione dell’inno austriaco (“Con coraggio nei tempi nuovi”) e richiama temi “obamiani” quali l’apertura, i diritti e la speranza. Più istituzionali il socialista Hundstorfer (sui cui manifesti campeggia il termine “sicurezza”, in armonia con l’approccio da sceriffo del Cancelliere) e il popolare Khol (che esalta invece la propria lunga esperienza di governo). Tagliente l’analisi di Profil alla vigilia del voto: facile immaginarsi Hundtstorfer mentre riceve le delegazioni dei partiti e le obbliga a raggiungere complicati compromessi tra una tazza di tè e una fetta di torta, così come altrettanto facile sarebbe la vittoria di Khol se la Presidenza venisse affidata da un comitato di saggi al candidato con i migliori titoli sulla carta. Evidentemente, l’elettorato cerca altro. Come nel caso di Sanders negli Stati Uniti, di Corbyn nel Regno Unito o del redivivo Juppè in Francia, non è però l’età il fattore discriminante, ma lo stile. Provocazione: cosa sarebbe accaduto se in Italia si eleggesse l’inquilino del Quirinale con elezione diretta? Il Rottamatore Renzi avrebbe scelto comunque l’ottimo (ma poco mediatico) Sergio Mattarella?

Patriottismo inedito, indipendenza dai partiti, contrapposizione più o meno marcata rispetto all’establishment. Anche in Austria è il momento degli outsider.

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