Partiti e politici
Populismo, fascismo, berlusconismo: il carisma che seduce
“Che cosa c’è di più insensato dicono i saggi,
di lusingare il popolo con una candidatura, […]
farsi portare in trionfo come un idolo
o vedersi in una statua di bronzo sul foro imperiale? […]
Questo è chiaro; ma da queste follie sono nate le gesta degli eroi […];
esse generano le città, mantengono
gli imperi, le magistrature, la religione,
i progetti e i giudizi degli uomini”
In qualità di ministro dello sviluppo economico e poi del lavoro, Di Maio affermò che Berlusconi aveva fatto il suo tempo. Oggi Forza Italia è al governo con Grillo e Di Maio mentre, fino a qualche temo fa, la parola d’ordine di Berlusconi era farla finita con la sinistra. I movimenti che racchiudono progetti in un capo tendono a fallire per la mancanza di una classe dirigente.
Ma cosa hanno in comune il populismo, il fascismo, il berlusconismo?
Il Fascismo fu un movimento populista che si servì del rancore del popolo contro i poteri stabiliti utilizzando una propaganda demagogica. Il fascismo odierno non ricalca perfettamente il fascismo classico, anche se nessun movimento politico al potere in Europa propone un’espansione nazionale attraverso la guerra o un ritorno a un regime dittatoriale, l’appello alle passioni mobilitatrici, l’emergere di figure che si presentano come leader carismatici e che, in un contesto di crisi economica e di esplosione delle disuguaglianze sociali, fanno dell’amalgama ideologico la loro bandiera caratterizzano la nostra storia politica recente. Pensiamo al singolare governo Berlusconi che trae dal neoliberalismo una logica di assoggettamento della società agli imperativi del mercato.
Nell’esperienza mussoliniana e berlusconiana, si ritrova la svalutazione della politica e l’esaltazione dell’uomo, della sua energia, della sua volontà. Fin dai suoi primi interventi pubblici, Mussolini aveva adottato una serie di credenze, di riti, di simboli capace di radunare le persone attorno alla sua storia personale, quella di un uomo ordinario che, a forza di volontà e di coraggio, aveva saputo diventare un eroe. Dopo la marcia su Roma, il Duce diventa un vero e proprio mito di massa: quello di un uomo capace di guidare la nazione verso una nuova grandezza imperiale. La maggioranza degli italiani che applaudivano Mussolini furono affascinati da un uomo dinamico ed energico che, a differenza dei suoi predecessori, si rivolgeva direttamente a loro dando loro la sensazione di essere finalmente vicini al potere. Non bisogna dimenticare che il Regno d’Italia era uscito massacrato dalla Prima guerra mondiale, e senza aver ottenuto ciò che la sua presenza nel campo dei vincitori avrebbe potuto sperare. Il popolo si lasciò sedurre da colui che seppe presentarsi come l’uomo del rinnovamento e della svolta storica. L’identificazione fra il leader e il suo popolo ha senza dubbio un sostrato psicologico.
Una delle ragioni per le quali il fascismo riuscì a imporsi, fu la capacità di Mussolini e dei dignitari fascisti di fare politica in modo differente rispetto agli uomini politici tradizionali. Invece di fare ricorso alle argomentazioni e alla logica, i fascisti facevano appello alle passioni e all’immaginazione; invece di convincere le persone con argomentazioni, Mussolini si avvaleva del suo carisma di leader e del suo magnetismo di capo per persuadere. La vita politica si trasforma, così, progressivamente in un continuo spettacolo in cui ciascuno trova il suo posto all’interno della folla. Mussolini comprende l’importanza, di attrarre, di costruire il consenso.
Ciò che distingue gli uomini dagli animali non è la voce in quanto possibilità di fonazione, bensì la voce significante, cioè la capacità di tradurre in segni acustici entità mentali. In tal senso, Mussolini ha abilmente colto l’importanza della retorica in politica: utilizza contemporaneamente discorsi prolissi, che hanno il fine di annegare l’ascoltatore in un fiume di parole, e formule molto semplici, traducibili quasi in slogan semplicistici come quando parla della “virilità fascista”.
Fu l’ardore emotivo il mezzo attraverso cui fu iniettata nelle persone la sensazione di partecipare alla rigenerazione della nazione, fu l’entusiasmo, la passione che portò a ottenere l’adesione delle masse. Mussolini capì che le parole usate tendevano a modificare i comportamenti attraverso processi di persuasione.
È in questo contesto che si afferma la propaganda fascista attraverso cui si realizza la manipolazione che introduce la menzogna, la parzialità e l’inganno, dirige e cristallizza l’opinione pubblica; la propaganda diviene il mezzo attraverso cui creare consenso attorno al movimento.
Se la politica culturale è condotta dai fascisti grazie a istituzioni particolari, specialmente l’Opera nazionale Dopolavoro e l’Opera nazionale Balilla, la propaganda si avvale dei nuovi mezzi di comunicazione di massa in particolare la radio, il cinema e la televisione; l’isituto Luce comincia a produrre film d’attualità e documentari per promuovere la politica di Mussolini. Nella sua propaganda, Mussolini è ovunque: lo si vede lavorare il grano in tenuta informale, il che lo rende più vicino al popolo, ma anche in uniforme militare, per mostrare la sua natura di capo.
Quando Berlusconi si affaccia alla scena politica, il Paese stava vivendo una delle sue crisi più gravi. Dopo la caduta del muro di Berlino, Il Partito comunista italiano è in crisi, “Mani pulite” infligge un colpo fatale alla principale forza politica del Pase, la Democrazia cristiana e il suo alleato Partito socialista. In pochi mesi, un numero considerevoli di dirigenti del PSI e della DC viene indagato per corruzione o per legami con la mafia. Il crollo dei due partiti lascia la strada aperta ai regionalisti della lega Nord, il cui capo, Bossi, si fa subito notare per il facile ricorso all’insulto, all’oscenità, ma lascia anche gli italiani, privati di referenti politici, in uno stato di confusione, di diffidenza, di pessimismo.
Il colpo di genio di Berlusconi, che approfitta del vuoto politico, è quello di proporsi come capo di un partito che si fa garante degli interessi delle classi medie. Se all’inizio degli anni novanta il berlusconismo sembrava un fenomeno di moda passeggero, mostra ancora oggi di buona salute, cambiando camaleonticamente pelle.
Il nome del suo movimento, Forza Italia, rimanda allo slogan che tutti i sostenitori della squadra nazionale del calcio gridano negli stadi o davanti la tv. È un imprenditore che propone di governare il Paese come un’impresa; si oppone agli uomini politici di mestiere accusati di non aver mai lavorato nel corso della loro vita e si dichiara, proprio come aveva fatto Mussolini, “un uomo nuovo”, un leader capace di voltare pagina rispetto a un sistema esausto. Proprio come Mussolini si è presentato come il fondatore di un partito nuovo, in opposizione ai partiti tradizionali.
Anche Berlusconi parla per slogan: galvanizza i sui militanti ingiungendo loro di scendere in campo per vincere la partita. Grazie alla sua capacità di teatralizzare il suo ruolo di self-made man, in grado di far trionfare l’Italia come aveva fatto con il suo gruppo industriale, riesce a monopolizzare l’opinione pubblica e a costruire intorno a Forza Italia un vero consenso. In tal senso fa appello alla retorica volontarista che già il fascismo aveva propagandato. Drammatizza il dibattito pubblico sul modello di una serie televisiva; Berlusconi seduce, è il portavoce di un nuovo patriottismo che mescola sapientemente l’unità nazionale e lo spirito d’impresa, liberalismo economico e populismo. Mescola con maestria sogno e pragmatismo, fiction e azione attraverso una comunicazione che è affidata ai media, rivelandosi un genio del marketing politico.
Inscrive la sua attività pubblica nello spazio dell’emozione e della seduzione, attira il consenso della gente lusingandola con la propria riuscita. In una società che celebra come valore precipuo il trionfo personale, Berlusconi ha compreso, quindi, che il miglior modo di guadagnare voti è quello di strumentalizzare i sogni delle persone, incarnando il principio di chi sa vincere. È, nell’immaginario collettivo, un capo visionario, una persona per cui non esistono limiti e difficoltà insormontabili. Costruisce il sogno di un’Italia moderna, europea, efficace, un’Italia che vince, fiera del suo lavoro e dei suoi successi in cui vi sia lavoro per tutti.
Per essere un capo, bisogna dare un’immagine ideale del futuro, poco importano il realismo delle parole e le contraddizioni in cui si incappa. Sceglie un linguaggio semplificato, ricorre speso alla provocazione, non si preoccupa della coerenza di ciò che dice, al punto di apostrofare, in piena campagna elettorale, gli italiani che votano a sinistra come “coglioni” invitandoli a leggere il libo nero del comunismo per scoprire che nella Cina di Mao non mangiavano i bambini, ma li facevano bollire per usarli come concime per i campi. Il suo linguaggio politico si rivolge al cuore del pubblico piuttosto che alla sua intelligenza, la sua retorica non suscita ragionamenti critici, bensì emozioni, passioni che lo portano ad affermare che “quando lo stato pompa troppo denaro, la frode fiscale è legittima”, mentre in un’intervista dichiara che il modo che una donna ha per uscire dalla precarietà è quello di sposare un miliardario.
Inchieste e processi travolgono il Cavaliere, ma egli destabilizza i fondamenti della democrazia e la magistratura attraverso discorsi caricaturali, per cui i giudici che non smettono di dargli fastidio sono pazzi, disturbati psichici. I suoi messaggi politici seguono una logica binaria: il mondo è diviso tra aggressori e vittime, amici o nemici.
Come Mussolini, Berlusconi offusca le regole della democrazia poiché non le rispetta, dice di inseguire l’utopia, ma si definisce un sognatore pragmatico. Come tutti i demagoghi contemporanei proclama ciò che è e ciò che fa, riscuotendo credito presso un pubblico pronto a credergli e troppo ingenuo per percepire in ciò un’ulteriore arma della strategia manipolatoria.
Persino nell’accostamento della politica all’ estetica si intravede la somiglianza tra Mussolini e Berlusconi.
I leader politici hanno compreso che nella comunicazione politica contemporanea, alimentata dalle piccole astuzie del marketing e della pubblicità, non può esserci franchezza. L’obiettivo non è quello di creare uno spazio democratico che permetta alla parola di circolare, ma piuttosto un luogo in cui gli individui possono essere convinti dai discorsi che sentono.
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