Costume
Politica e comunicazione: solo il pubblico può decidere cosa serve raccontare
Qualcosa è andato storto nella narrazione della politica italiana e quel qualcosa non è nato l’altro ieri. Il caso – o per meglio dire i ripetuti casi – di esibizionismo mediatico di Matteo Salvini, divoratore di spuntini, torsonudista accanito e ora anche vitellone da spiaggia, sono solo l’apice di una parabola discendente del pudore, che in Italia ha visto cadere, a colpi di scatti fotografici e gossip in prima pagina sui quotidiani, tutti i tabù legati al ruolo “istituzionale” di alcuni profili. Primi fra tutti quelli dei politici.
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“Il personale è politico” diceva Emma Bonino ormai molti anni fa “ma” aggiungeva anche “il privato non è pubblico”. Sulla sottile differenza che intercorre fra elemento personale ed elemento privato si sono giocate, nei decenni, alcune delle più importanti battaglie politiche legate ai diritti. L’utilizzo di un elemento personale come “caso” dal quale partire per portare avanti una discussione capace di dare risposta ai cambiamenti del paese ha consentito di dare un corpo e un volto a tesi che, espresse solo sulla carta, non avrebbero avuto lo stesso potere di cambiamento. Metterci la faccia ha significato questo: senza il personale di Franca Viola, solo per citare uno dei tanti esempi possibili, avremmo dovuto aspettare chissà quanti anni ancora per la messa in discussione del matrimonio riparatore. Poche cose possono essere considerate più intime e degne di rispetto dell’esperienza di chi ha subito una violenza, ma il superamento di questo limite, all’epoca, ha significato un rivoluzionario atto politico. Tornando ai giorni nostri però ci accorgiamo sempre di più che l’elemento personale nulla ha a che vedere con l’ostentazione del privato portata avanti, a fini mediatici, da gran parte degli esponenti della classe politica nostrana. Un percorso dalle radici profonde che comincia nel momento in cui, all’incirca con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il privato – in questo caso sotto forma iniziale di famiglia – diventa oggetto di campagna politica.
Anche prima esisteva un “gossip di stato”, ma l’impatto mediatico era limitato ai soli rotocalchi e, assai di rado, fomentato dai diretti interessati. Una piccola ricerca per immagini può essere d’aiuto: dello stesso Bettino Craxi, personaggio non particolarmente riservato se confrontato con suoi colleghi dell’epoca, troviamo solo alcuni scatti “di famiglia”, quasi nessuno scatto realmente privato e, invece, un importante numero d’immagini istituzionali.
Con Berlusconi le cose cambiano. Si comincia con la famiglia, mostrata con l’orgoglio di chi vuole rimandare ad una rassicurante immagine di buon padre e imprenditore, per poi seguirne le vicende alterne fra vita scolastica dei figli, crisi coniugali, vacanze, divorzi, matrimoni. Tutto seguito con grande attenzione. Sono anni di cambiamento e quasi tutta la classe dirigente italiana, fatto salvo qualche “conservatore”, si adatta al nuovo corso.
Bisogna far parlare di sé, non solo per il proprio operato, ma anche per il proprio privato, diventare personaggi sulla scena mediatica, perché la capacità d’influire sul vissuto del paese passa via via sempre più proprio dai media.
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Cambia, parallelamente, anche l’atteggiamento con il quale viene proposta questa esposizione. Non più paparazzi che rubano scatti di un privato che si vorrebbe mantenere tale, ma battute d’agenzia, concordate con i diretti interessati, servizi dedicati ad eventi particolari. Si mostra sempre di più, si decide cosa mostrare. Un ulteriore cambiamento avviene sulla scena e può essere davvero bene riassunto dal percorso “iconico” di Silvio Berlusconi: non si costruisce un’immagine che possa rispondere ad un piano valoriale “alto” o essere di modello per il paese (la foto con la perfetta famiglia felice al completo questo cercava di veicolare), ma si mostra anche ciò che, per definizione, dovrebbe stare fuori dalle scene. Perché? Perché funziona. Il pubblico ama il pettegolezzo – anche quando autorizzato – e percepisce una riduzione della distanza fra il personaggio politico e la vita di tutti i giorni. Accadeva già ai tempi di Berlinguer, dirà qualcuno, con le foto in spiaggia insieme alla famiglia. Certo, ma la scelta era sempre una scelta legata al personale e non al privato. Il messaggio era chiaro “Anche il politico va in vacanza con la famiglia, proprio come le tante famiglie italiane in viaggio durante l’estate” e restava, tuttavia, un elemento marginale rispetto alla vita pubblica.
Con le finte, o vere, paparazzate politiche degli anni Novanta, il baricentro del dibattito si sposta sempre più sul profilo biografico personale del politico di turno: quello che frequenta le feste in Costa Smeralda, quello che viaggia sulla sua barca a vela per il mediterraneo, quello che lascia la moglie per una donna molto più giovane, quella che si sottopone a chirurgia estetica.
E arriviamo in prossimità dei giorni nostri. Nel dibattito politico, già sul finire degli anni Novanta, perde sempre più importanza la materia principe e ne acquista di crescente quella privata. Non si cercano più risposte alle domande sul buon operato di governi o amministrazioni, ma si preferisce valutare la moralità e il profilo (degno o meno degno) del politico. Da destra a sinistra. Si critica il comunista in cachemire, si critica il centrista cattolico divorziato. La politica diventa un pretesto per gestire il sentimento del paese e il passo successivo, quasi fisiologico, è quello di un insano rispecchiamento della politica nel paese che in realtà dovrebbe analizzare, interpretare e guidare.
L’avvento di internet e social network ha solo accelerato le cose. Il privato – rimbalzato, commentato, seguito centinaia di volte – fagocita il dibattito pubblico distogliendo l’attenzione dei cittadini dalla politica, ma anche dei politici dal paese. Preoccupazione centrale è quella dell’immagine e dell’adeguamento (o meno) a un immaginario specifico, si auspica – per il politico di turno – vincente. Scatti e parole chiave servono a questo e anche la “ribellione” di chi non ci sta alimenta, in parte, il sistema. Pensare infatti di poter risacralizzare ciò che è stato dissacrato grazie ad un’operazione interna potrebbe suonare solo velleitario. Occorrerebbe un cambio radicale nei protagonisti di questa narrazione, ma il racconto è sfuggito di mano (neppure la stampa ne è più titolare) ed è solo il pubblico, con la sua domanda e le sue risposte che, con una profonda modifica culturale, può imporre un nuovo schema.
Solo il pubblico (qui in un’altra accezione) può riappropriarsi del vero pubblico e rivendicarne il racconto.
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Fino ad allora continueremo a “surfare” fra panini addentati, insulti a mezzo social, racconti di estati italiane nelle quali, da sempre, sembra andare in vacanza anche la consapevolezza dei veri problemi di questo paese.
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