Partiti e politici

Poca personalità, molta accortezza: il partito della nazione di Conte

5 Giugno 2018

Parla a lungo, Giuseppe Conte. Molto a lungo, ed è normale, a ben vedere, perché il governo gialloblu che lui guida tiene dentro alla propria pancia tanti umori diversi, rivendicazioni lontane e forse incompatibili, sentimenti nazionali che si sono fronteggiati in campagna elettorale e che oggi sono alleati di governo. Nell’abbondante prolusione con cui si presenta al Senato della Repubblica fissa paletti laschi per un’azione di governo che ovviamente scopriremo andando avanti. Mischia ingredienti che possono forse stare all’interno dello stesso pasto, ma che somministrati insieme, nello stesso piatto, risulterebbero assai indigesti.

Parte, come si usava nelle sezioni di partito di una volta, dalla collocazione internazionale. Ribadisce la fedeltà atlantica e l’appartenenza alla Nato, ma rivendica la necessità di superare il sistema sanzionatorio nei confronti della Russia. Segue la linea dell’ “altero-europeismo” cara a Paolo Savona, tra gli altri, quando nel ribadire il ruolo di membro fondatore dell’Italia lo corrobora con la necessità di lavorare in prima fila per un’unione economica e politica più equa. Rigetta formalmente ogni accusa presente e futura di razzismo – e chi mai ammetterebbe di esserlo, suvvia – e poi sgrana il rosario salviniano contro scafisti e trafficanti di uomini. Fa eco ad Angela Merkel sottolineando ancora una volta la solitudine italiana di fronte alle masse di disperati che premono da sud verso l’Europa. Parole buone per quasi tutte le stagioni. Parole non smentibili fino a quando non diventeranno, in un modo o nell’altro, ricetta politica.

Il reddito di cittadinanza c’è, naturalmente, come forma di sostegno a chi è disoccupato (quindi è un’altra cosa). La flat tax c’è: ma come, dove quando e quanto? Tutto è neutro, tutto è punto di sintesi in fondo prudente, vagamente democristiano. Quasi, tutto.

Perché sulla giustizia i toni si accendono, si fanno netti. Di destra, senza mitigazioni. Lotta alla mafia senza quartiere. Riforma con ulteriore allungamento dei termini prescrizionali, che potremmo riassumere con un “fine processo mai”, date le lentezze dei nostri processi penali. Carcere duro – se abbiamo capito bene ha detto proprio carcere duro – per i grandi evasori, e chissà quanto il passaggio dev’essere piaciuto a Silvio Berlusconi. Daspo, cioè una misura eccezionale e senza troppe garanzie, per i corruttori.  È come se sui temi di giustizia e manette l’equilibrio tra i due soci di governo sia più facile, il compromesso meno faticoso. Ed è per questo che Conte su quel terreno può spingersi più in là, alzare un po’ la temperatura retorica.

Per il resto sta assai accorto, il professore, molto. Prende una doverosa standing ovation per la doverosa citazione di Sacko Soumayla, il migrante e sindacalista maliano assassinato in Calabria due giorni fa. Dedica all’opposizione un verboso ma correto passaggio sul loro ruolo costruttivo e di stimolo, e sentire i banchi del Pd rumoreggiare come grillini qualsiasi non ci ha fatto grande piacere.

Come ogni espressione di politica populista, ribalta l’accusa in vanto, che essere populisti significa stare col popolo, e questo lo dicono tutti i populisti del mondo, d’Europa e d’Italia. Insomma, il professore “avvocato di tutti gli italiani” ha davanti una sfida ardua, e lo sa: tenere insieme due anime diverse, in un cammino irto di difficoltà, burroni e forse qualche drago. Ha passato la prima prova con ingredienti che qui appaiono chiaro: buon controllo del proprio ruolo, coscienza del fatto che stare sopra le righe non è la sua missione, e che ogni protagonismo personale incrinerebbe un equilibrio tutto da rodare. Era vero ieri, sarà vero domani. Nella composizione di questi contrasti si gioca il destino politico di questa alleanza e del suo garante ultimo, Giuseppe Conte. Se non regge lui, salta tutto. Ma se regge e trova la quadra, se il suo fare educato e l’aria competente fanno presa, potrebbe anche nascere un nuovo blocco politico: che ha anime di destra e di sinistra, che ha un radicamento territoriale fortemente trasversale, che prende i voti dei poveri e fa gli interessi anche, magari soprattutti, dei ricchi. Insomma, un partito della nazione che alla nazione manca da parecchi decenni.

Poi c’è il tema del cambiamento, messo al centro del brand di governo e ribadito da Conte. Sul punto bastino due cose. La prima è una promessa: vigileremo. La seconda una constatazione: il cambiamento non è un valore in sè. E anche questo valeva ieri, vale oggi, varrà domani.

Buon lavoro al governo, e buona fortuna a tutti noi.

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