Partiti e politici

Pisapia nel paese delle meraviglie: Milano è l’Italia e la sinistra vale il 40%

10 Febbraio 2017

Nel borsino della politica politicata, oggi, venerdì 10 febbraio 2017, è il giorno di Giuliano Pisapia. In un’ampia intervista al Corriere della Sera spiega il suo “Campo Progressista”, sulla strada di un imminente lancio ufficiale (11 Marzo), che sarà seguito dalle mitiche “Officine del programma”. Va annotato e sottolineato, sicuramente, il coraggio con cui Pisapia si mette in gioco esplicitamente. Poteva godersi tranquilità, ricchezza e buona memoria e invece ha ancora voglia di fare politica, e di farla da persona seria e per bene quale è, con i toni pacati e ragionanti che sono i suoi in un tempo di grida belluine. E questo è sempre positivo.

Nelle parole di oggi, però, tracce programmatiche e piattaforme sociali se ne vedono pochine. Sì, certo, sarà naturalmente colpa del contesto politicista che spinge solo a parlare di alleanze. Ma insomma, a parte qualche accenno ai cervelli in fuga che sono pronti a impegnarsi per il Campo Progressista in rampa di lancio – energie vitali, sia chiaro, che il paese deve senz’altro recuperare, ma non proprio rappresentanti tipici delle masse sofferenti cui la sinistra dovrebbe dare voce e prospettiva – le prospettive più strettamente politiche evidenziate dall’ex sindaco di Milano vengono fuori “per differenza”, e quasi a valle di scelte di tattica e alleanze.

Alfano, ad esempio. “Siamo diversi, a cominciare dal tema dei diritti civili”, dice Pisapia. E poi Renzi, naturalmente: “ha energia e coraggio, ma deve ascoltare di più e parlare anche coi sindacati”. Piuttosto evidente la freddezza liquidatoria dedicata al successore Sala – “siamo diversi, lui è un manager”, ma “molti dei miei assessori son stati riconfermati” -, e per il resto tanta tattica politica, tanto posizionamento di prospettiva in un paese che – così a occhio – non è proprio quello che Pisapia immagina esistere. O, quantomeno, è lecito dubitarne.

Già, perché questa continua, naturale proiezione di Milano, e della “sua” Milano, sulla scala nazionale, pare quantomeno un azzardo. Un azzardo fondato, ancora una volta, su uno sguardo molto politicista della realtà. Raccontare che i grillini a Milano sono al 10% perché la sua giunta ha fatto le cose buone di cui loro parlano, ad esempio, coglie sicuramente punti di verità ma probabilmente manca altri elementi di non poco conto. La politica e la buona politica sicuramente contano, ci mancherebbe, ma probabilmente la capacità di offrire opportunità di lavoro e di crescita economica della città sono altrettanto e più importanti: e non si può certo credere che il fatto che Milano “funzioni” sia tutto e solo merito della politica in generale, e di Pisapia in particolare. Il tasso di disoccupazione è di oltre il 30% più basso della media nazionale; il tasso di disoccupazione giovanile è poi quasi la metà. Il mercato immobiliare, mentre nel resto d’Italia ancora ristagna, a Milano sta ripartendo: perché la città è attrattiva. Tanto è attrattiva che, mentre l’Italia registra una calo demografico importante (Dati istat 2015), Milano cresce. In un decennio ha registrato una crescita quasi costante e un piccolo boom di cittadini Under 40.

Merito di Expo? Anche. Merito di una città in cui esiste il mercato e quindi attrae voglia di lavorare e competizione? Certo. Merito (mai abbastanza riconosciuto) delle giunte precedenti che, tra tanti difetti, un po’ di buoni progetti destinati a segnare in positivo il tessuto li hanno lanciati? Certo. Merito anche del buon governo e del bel tocco di Giuliano Pisapia? Sicuramente. Merito di tanti fattori, insomma, e sicuramente anche di Pisapia. Credere però che questo “unicum” italiano che è la Milano di oggi (in un equilibrio sempre precario e che va manutenuto con costanza, pazienza e autocritica, peraltro, evitando l’autocelebrazione) come se fosse un modello sociale facilmente esportabile a traino dell’esportazione di un modello di alleanze politiche è sicuramente sbagliato. Perché a generare consenso e dissenso, protesta e proposte sono ancora le condizioni socio economiche, tanto più oggi che le grandi “fedi politiche” di quando Pisapia era giovane non ci sono più per nessuno. Che Milano sia un’isola a parte, anche dal punto di vista elettorale, lo hanno dimostrato anche tutte le recenti occasioni, dalle amministrative che hanno eletto Sala a sindaco al referendum costituzionale.

Insomma, ben venga l’impegno di Pisapia: ben venuto come lo è ogni elemento di dialettica democratica, tanto più in un tempo così confuso. Perché l’impegno però non sia frustrante, forse, sarà utile mettere a fuoco da subito in che paese ci muoviamo. Prima, molto prima della critica di fare da stampella a Renzi, pare importante che Pisapia e chi scommette sul suo progetto sappia, con certezza, che non è più il tempo di sovrapporre Milano all’Italia e di proiettare quello che capita quassù per comprendere meglio quel che succede altrove. Oggi, lenti troppo milanesi rischiano di deformare il paese. Il risveglio potrebbe essere brutale.

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