Partiti e politici

piazza reale vs piazza virtuale

13 Giugno 2016

“L’argomento migliore contro la democrazia è una conversazione di soli cinque minuti con l’elettore medio” (W. Churchill). Senza voler argomentare contro la democrazia che resta l’unico sistema accettabile per una società che vuole essere di diritto, certo è che il famigerato elettore medio poco apprezzato da Churchill, non è cresciuto in questi anni in termini di conoscenze, consapevolezza, capacità critica. E questo nonostante si ritenga da decenni che l’aumento delle occasioni informative, la diversificazione delle fonti, la semplificazione dei temi politici renda l’opinione politica, e le relative scelte, elettorali più consapevoli, più mature e meglio argomentate.

Il problema non è la semplificazione dei temi politici e il loro accostamento a dimensioni spettacolari, in una commistione di intrattenimento e informazione che se tenuto entro certi limiti, alimenta il processo di democratizzazione del sistema e delle sue logiche. Il degrado del dibattito pubblico, e delle scelte elettorali conseguenti, sta nella “forza d’opinione” che ogni singolo ha acquistato nei social network, grazie alla possibilità, da questi garantita, di esprimersi su ogni aspetto dello scibile umano, e a maggior ragione sule questioni politiche, rivolgendosi non ad una ristretta cerchia di amici, ma ad un pubblico che può essere anche numeroso, in una auto-esaltazione narcisista delle proprie possibilità.

La politica del ‘900 aveva a che fare con la folla: entità di massa, mutevole e ambigua, che come un’onda di pensiero unico trasformava la piazza in osannante o vendicativa, a seconda del momento storico, del capi che la guidavano, delle circostanze emotive e del livello di eccitabilità. Nella folla i singoli si perdevano e si confondevano in un soggetto unico, acclamate o maledicente.

La politica del XXI secolo si confronta quotidianamente con la “piazza virtuale” in cui “uno vale uno”, ma nella quale la capacità di giudizio è tutt’altro che autonoma. I singoli, cittadini virtuali, dimostrano di essere più narcisisti che competenti, più egocentrici che social, con un bassissimo livello di competenze specifiche, ma anche semplicemente di cultura generale. Rappresentano la conseguenza della ridondanza relazionale propria dei social media, la visibilità attenuta senza sforzo né competizione di merito. Una finestra pubblica accessibile a tutti, che annulla il ruolo di indirizzo critico posseduto fino a qualche anno fa dai leader d’opinione.

La politica, purtroppo si adegua, azzerata la funzione di educazione e formazione delle agenzie intermedie, parla direttamente con i singoli portatori dell’opinione virtuale, adattandosi al loro linguaggio, riducendo il pensiero politico a brevi spot twittati, e riportando nel mondo reale lo stesso livello di incompetenza e superficialità, violenza verbale e intolleranza, che prolifera nei social. Da qui il successo del Movimento 5 stelle, anch’essi cittadini virtuali, privi di qualunque cultura politica, tuttologi senza spessore, egocentrici esperti del nulla, che però hanno trovato il modo di lasciare la testiera e entrare nelle istituzioni.

Non che gli altri partiti non abbiano imboccato la stessa terribile e credo anche distruttiva china. Uno per tutti il Pd di Renzi. Il Presidente del Consiglio ha rottamato il mondo politico precedente, ha dato potere a giovani mediamente ignoranti e inesperti, è egli stesso molto social e poco political.

La piazza è sempre esistita, quella riempita dalla folla e quella vissuta da relazioni interpersonali e fatta di opinioni, partigianeria, pregiudizi. La piazza reale è animata da relazioni governate anche da pudore, rispetto e senso del limite. La piazza virtuale manca di tali caratteristiche che, pur dando la possibilità a tutti di esprimere un’opinione, ne regolano la natura e la prepotenza.

Il dibattiti pubblico è stato trasformato in una querelle da bar con la pretesa, però, di avere più peso e più legittimità pubblica, di quanto non avranno mai quattro chiacchiere tra amici.

 

 

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