Partiti e politici
Cercare i voti di CL non è un problema (ma può facilmente diventarlo)
Renzi va al meeting di Comunione e Liberazione e spiega di fatto che i voti dei ciellini non puzzano. Un anno fa aveva sdegnato l’invito di quella vecchia politica fineagostana, quel rituale un po’ abusato della politica nazionale in salsa riminese che aveva accompagnato le prime due Repubbliche: un anno dopo la musica è cambiata e Renzi ci va. Ribadisce promesse fiscali già fatte, sta alla larga dai temi dei diritti civili che sono spinosi e divisivi per quella platea, non dice insomma niente di nuovo o sconvolgente ma, semplicemente, riconosce a quella platea e a quell’evento uno statuto e un ruolo pubblico con cui confrontarsi. Succede lunedì. Ieri sul tema torna Debora Serracchiani, all’inaugurazione della Festa Nazionale dell’Unità che si svolge a Milano, e spiega che i voti dei ciellini non dispiacciono, certo che no, perché servono per allargare il consenso. La banalità diventa pleonasmo: più voti servono sempre per allargare il consenso.
Comunione e Liberazione ridiventa protagonista, almeno simbolicamente della scena politica italiana, ed è l’occasione per fare qualche riflessione, mettere in fila qualche memoria che, come spesso capita da queste parti, in pochi mesi diventa oblio. Ma è anche forse l’occasione per dire, in poche parole, di cosa parliamo quando parliamo di Comunione e Liberazione. Che non è una cosa sola, e neanche una cosa semplice. CL infatti è anzituttto un movimento ecclesiale, nato a Milano, durante gli anni caldissimi del 1968, in aperta opposizione ai movimenti studenteschi di matrice marxista ma anche alle spinte al dialogo con quei movimenti che animavano il mondo cattolico di base e, in piccola parte, anche le gerarchie pre e post conciliari. Negli anni si è evoluto quindi come movimento cattolico “conservatore”. A loro – sia detto per inciso – la definizione non piacerebbe, qualcuno direbbe che è un movimento che vuole tornare alle origini del cattolicesimo e altri sottolineerebbero che non c’è nulla di conservatore in chi vuole sporcarsi le mani con la realtà del mondo, anche rischiando un po’. Tant’è: dentro allo scacchiere ecclesiastico, lungo i decenni, il cattolicesimo “amico” è stato sicuramente quello di Giovanni Paolo II, e quello avversario – per stare a Milano – è stato quello di Carlo Maria Martini e, nel lungo periodo, quello di Papa Francesco. Rurale, delle origini, inflessibile sui principi di etica e di morale sessuale il primo. Gesuitico, aperto alla lingua dei laici fino a contaminarcisi, intellettuale fino a sapere di protestantesimo il secondo. Il movimento ecclesiale, negli anni, ha generato incontri fitti per leggere e comprendere i libri del fondatore, Don Giussani, cooperative sociali, esperienze di volontariato, gruppi di veri amici che ancora si frequentano e si tengono vicini da decenni. Ha generato, indubbiamente, un pensiero e un’antropologia piuttosto definiti e riconoscibili, tanto da sconfinare – questo è un giudizio personale, e quindi vale quel che vale per definizione – talvolta in un certo fastidioso settarismo. Siamo nel campo di quel che piace o non piace, siano i giudicanti credenti o non, ma di certo siamo nel campo di ciò che è pienamente legittimo.
Dal movimento ecclesiale, a valle, sono germinate diverse altre “esperienze” (parola chiave nel giussanesimo) più apertamente ed esplicitamente mondane. Mondane nel senso che stanno nel mondo terreno, si ispirano – o dovrebbero ispirarsi – ai principi del movimento ecclesiale, ma si giocano tutto sul campo della vita sociale, economica e politica. Tra queste esperienza le più evidenti e note sono sicuramente la “Compagnia delle Opere”, un’associazione di imprese, e le esperienze politiche che hanno avuto nella Lombardia di Roberto Formigoni il loro apice. Il loro culmine, certo, e anche la manifestazione più chiara di quanto la tentazione sia forte, quando si sta nel mondo. Arresti, processi, qualche condanna e patteggiamento, scandali certi per il buon gusto al di là di ogni valutazione strettamente giuridica, hanno colpito e falcidiato imprenditori legati direttamente al movimento e alla sua espressione politica, e questa è storia ormai alle cronache e agli atti giudiziari. Lo stesso Maurizio Lupi, uomo di punta del movimento in politica e tra i primi a comprendere il declino berlusconiano per ricollocarsi prima in posizione di dialogo con Monti, poi in posizione di ministro con Enrico Letta e Matteo Renzi, è stato da quest’ultimo scaricato all’emergere di uno scandaletto irrilevante (finora) giuridicamente, ma certo molto antipatico politicamente.
Ovviamente, molti di quanti hanno fatto e fanno politica proveniendo da Comunione e Liberazione non sono mai stati nemmeno sfiorati dall’ombra del sospetto, così come molti imprenditori della Compagnia delle Opere sono semplicemente bravi o scarsi, ma onesti. Ancora, l’esperienza quasi ventennale della Regione Formigoniana aveva molte pecche, rivelava sicuramente l’ambizione a un controllo capillare dei gangli di potere a partire dalla sanità, ma non si può archiviare come un’epoca di governo regionale inoperoso o inefficiente, anzi spesso si sono viste all’opera ottime professionalità. Tuttavia, era e resta vero, la tendenza di quel blocco di potere a scegliere solo i simili, o comunque a privilegiarle, è un’esperienza che molti lombardi hanno fatto e visto da vicino e – benché in questo il costume italico a muoversi per clan non è certo un’esclusiva ciellina – che va stigmatizzata come si stigmatizza ciò che ci allontana dalle pratiche di governance migliori, cui dovremmo per definizione ispirarci e tendere.
Torniamo al punto di partenza, insomma. È un problema volere i voti dei ciellini? A patto di non abbracciarne i principi in materia di diritti civili (sicuramente i più dissonanti rispetto a un milieu laico e progressista cui il Pd dovrebbe per statuto ispirarsi) sicuramente no. Sono voti di una piccola parte del mondo cattolico, e se dovessero accettare il programma di un partito socialista europeo di governo avrebbe senso che fossero i benvenuti, come lo sono gli elettori in democrazia. Mentre invece, recisamente, vanno rifiutate le modalità da comitato d’affari che sono emerse a tratti nelle precedenti esperienze politiche. Esattamente come bisogna rispettare il lavoro e gli ideali di molti onestissimi cooperatori e rigettare con ogni forza le azioni criminose di tante cooperative che hanno tradite ideali e valori, e violato ripetutamente la legge. Bisogna, insomma, parlare con un movimento ecclesiale ricordando a tutti (a cominciare da quel movimento) che quel pezzo di movimento che ha disonorato se stesso e la legge non troverà nessuna tolleranza. Problema, non da poco, è in quel pezzo di movimento che stanno le risorse economiche e la conseguente capacità di mobilitazione che da sempre fanno gola alla politica, per di più se in una fase di stallo o di mezza crisi. Il sospetto si fa anche più acuto, se si considera che al di là della grande visibilità di cui CL gode, i suoi voti sono pochi, e l’obbedienza elettoriale di chi è parte del movimento sembra in calo. Parliamo, secondo stime ottimistiche e variabili, di circa 100 mila persone in tutta Italia. Proprio pochi, insomma.
Per questo, e per concludere, Matteo Renzi, Debora Serracchiani e tutti gli altri, fanno benissimo a volere i voti di Cl. Meno bene fanno a rincorrerli adesso, dando una sensazione di affanno politico che rischia di mostrare le crepe di un processo politico già in debito di ossigeno. Ancora meno bene fanno a cercare quei voti tacendo, a quelle platee, su temi centrali per una costituency politica come dovrebbe essere quella del Pd. Oltre ai diritti civili, ci dovrebbe essere il rifiuto della politica che diventa prolungamento di comitati di affari e di lobby ristrette, proprio il contrario della contendibilità e del riconoscimento del talento e dell’efficienza. Due parole su questo, Renzi, Serracchiani e tutti gli altri potevano anche dirle. Anzi, sono ancora in tempo.
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