Partiti e politici
Perché non credere troppo ai sondaggi
I sondaggi elettorali, si sa, stanno vivendo in questi ultimi tempi una forte crisi di credibilità, un po’ in tutto il mondo. Tante le cause, delle quali ho parlato qualche anno fa in un mio libricino (“Attenti al sondaggio!”) che è sempre utile rileggersi, in prossimità di una competizione elettorale. Tre le principali: la difficoltà di avere a disposizione campioni realmente rappresentativi della popolazione, soprattutto dopo l’avvento massiccio della telefonia mobile e l’utilizzo di interviste su Internet; l’indecisione o, a volte, le menzogne consce e inconsce dei rispondenti sul proprio orientamento di voto; il costo elevato di rilevazioni demoscopiche che debbano andare in profondità su ambiti territoriali molto ristretti, come ad esempio i collegi elettorali.
Anche nel caso in cui si riescano a risolvere, in qualche modo, i due primi fattori di distorsione, è proprio il terzo punto quello su cui le difficoltà paiono a volte insormontabili. Negli ultimi mesi, dopo che è stato finalmente approntato lo schema definitivo del nuovo sistema elettorale del cosiddetto Rosatellum, non passa giorno che qualche quotidiano, on-line o cartaceo, non ci proponga una simulazione di quale potrebbe essere il risultato elettorale in ciascuno dei 232 collegi della camera o nei 116 del senato.
Come è possibile arrivare a tale stima? Di primo acchito, pare proprio impossibile. Per avere stime corrette degli oltre 200 collegi, occorrerebbe intervistare campioni significativi in ciascuno dei territori su cui gravitano questi collegi. Supponiamo che bastino un migliaio di interviste in ognuno di questi. E, per inciso, lo supponiamo solo, perché in realtà in ogni sondaggio elettorale abbiamo sempre una quota di circa il 35-40% di intervistati che si dichiara astensionista oppure incerto, e le nostre stime si baseranno su 600-650 rispondenti, oggettivamente un po’ poco.
Ma supponiamo per un momento che bastino. Dovremmo intervistare un numero di elettori pari a 232mila, mille per collegio. Dato che il costo di un sondaggio di un migliaio di casi non potrà essere inferiore a 5mila euro, anche perdendoci qualcosa, dovremmo avere a disposizione un badget complessivo di oltre un milione di euro. Sì, avete letto bene: per la precisione, si tratta di 1 milione e 160mila euro.
Ovviamente impossibile a realizzarsi. Come ci si orienta, dunque, per fornire comunque stime che dovrebbero essere attendibili? Con una paio di stratagemmi. Il primo è questo: si definiscono già sicuri un numero piuttosto elevato di collegi, sulla base dei risultati delle ultime elezioni, e si effettuano sondaggi soltanto sui collegi incerti, in genere tra gli 80 e i 100. Anche in questo caso il costo, seppur più che dimezzato, sarebbe vicino al mezzo milione. E nessuno ha tutti questi soldi. Allora si dimezzano le interviste, producendo risultati altamente inattendibili: dato che il collegio è incerto, con 3-400 interviste valide quel collegio rimarrà sicuramente incerto, tranne in casi eccezionali.
Secondo stratagemma. Si prendono in considerazione i flussi di voto dall’ultima elezione agli orientamenti di voto odierno, a livello ad esempio regionale. Si applicano poi i risultati di ciascuna matrice di flusso ai singoli collegi di ognuna delle regioni. Anche in questo caso i risultati che usciranno saranno altamente aleatori, vista la competizione serrata in molti dei collegi uninominali, senza considerare il possibile richiamo che ognuno dei candidati potrebbe esercitare nel suo collegio.
L’unica strada alternativa da percorrere sarebbe quella di utilizzare le migliaia e migliaia di interviste effettuate nel corso degli ultimi due anni, e suddividerle per i 232 collegi. Ma pochissimi istituti di ricerca hanno un così ingente data-base su cui far riferimento. Ecco perché a quello che ci raccontano, se non in casi sporadici, non possiamo credere troppo. Non ci resta che attendere tranquillamente i risultati delle elezioni. In fondo, non manca poi molto.
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