Costume
Perché la sfiducia sta mettendo in pericolo il nostro Paese
Gli appassionati di fantascienza sanno che – più o meno a cavallo degli anni Sessanta e Settanta – molti romanzi si aprivano con il racconto di un esodo dal pianeta terra. Una catastofe aveva causato la fine del nostro pianeta e i terrestri superstiti, assiepati su navi spaziali di fortuna, partivano alla ricerca di una nuova casa. Normalmente le cause di questa catastrofe erano tutte umane: una crisi nucleare, un disatro ambientale, ecoterrorismo, un virus letale liberato da qualche scienziato pazzo che lo aveva creato nel suo laboratorio… Nessuno scrittore però ha mai immaginato un lontano futuro nel quale l’umanità sarebbe stata messa in pericolo dalla mancanza di fiducia.
Qualche giorno fa è apparso su Linkiesta un interessante articolo dal titolo “L’incopetenza al potere. Abbiamo sfiduciato i politici, ci restano i dilettanti”. L’autore, senza omettere, nella sua cronistoria, fatti e personaggi che hanno creato le premesse per il calo della fiducia degli italiani nei partiti politici e nei loro rappresentanti, ci pone di fronte a una domanda: sfiduciata la classe dirigente che era stata formata per essere “guida del paese”, che cosa rimane? La risposta, in parte provocatoria, delinea l’impietoso quadro di un’Italia guidata da giovani il cui solo merito è di essere anagraficamente tali, “uomini nuovi” che con la politica non hanno mai avuto nulla a che fare, figure di rappresentanza improvvisate. Mi inserisco nella riflessione perché il tema è, purtoppo, ancor più delicato se si considerano le prospettive di “recupero” o quantomeno di evoluzione futura. Gli esordienti che incominciano a farsi strada – bene o male starà agli elettori giudicarlo – sembrano perdere crediblità nel momento stesso in cui acquisiscono una storia politica (“Si, ma tu parli così perché ormai sei uno di loro”) o competenza (“Usi sempre quei paroloni da politico”). Questo prefigura un costante ricambio che non solo impedisce la formazione di un nuovo progetto politico per il paese (per fare il cambiamento, quello vero, ci vuole tempo), ma che inquina anche il dibattito e i rapporti politici.
Scopo del gioco non è più il miglioramento di uno status quo – e quindi una battaglia politica al rialzo – ma denigrare l’avversario, demolirne progetti ed eventuali risultati, sostituirlo. E, si badi bene, non sostituirlo in virù di una migliore proposta, ma per “mancanza di alternative”, quindi al ribasso.
Tutto questo è frutto di un atteggiamento scorretto da parte della classe politica, ma anche – e veniamo alle dolenti note – di una sostanziale mancanza di fiducia “di partenza” della popolazione, che – abituata ormai da tempo alla politica della critica costante e parallelamente convinta della possibilità, per tutti e in ogni contesto, di esprimere un’opinione che “vale tanto quanto quella di…” si è dimenticata che per giudicare un fatto (o una persona) bisogna conoscerlo e che un giudizio ha valore se si hanno le competenze per esprimerlo. Altrimenti è chiacchiera da bar.
Se problema fosse limitato alla politica si potrebbe pensare a una genesi “di contesto”: la politica fa schifo quindi chiunque può sentirsi titolato a criticare, quindi la sfiducia è giustificata. Purtroppo per noi però le cose non stanno così.
La questione vaccini, ad esempio, mostra una crescente sfiducia da parte della popolazione italiana nella scienza e, se si estende il problema ai molti casi di terapie fantasiose liberamente seguite da pazienti che non credono al loro medico, santoni o pseudotali che, senza alcuna base sperimentale, curano i tumori con la curcuma e via dicendo, ci si accorge che in molti – troppi aggiungo io – pensano di poter avere un’opinione qualificata e che la costante messa in discussione di quello che “non piace” o – d’istinto e di pancia – non ci torna, sia un’operazione sensata. Alzi la mano chi non ha almeno un amico che si è fatto auto diagnosi di un’intolleranza/allergia/problema nutrizionale grazie alla sua competenza in ingegneria informatica (o altra disciplina a piacere). Ma la questione non si esaurisce qui. Alzi la mano chi non ha mai sentito un genitore che, senza alcuna competenza pedagogica, si sia messo a contestare la maestra/professoressa del figlio in materia d’insegnamento e valutazione del risultato scolastico. Alzi la mano chi non ha mai sentito dire, di un professionista qualsiasi – dal calzolaio al commesso, dal grafico al giardiniere, “Per fare quel lavoro lì ci mettevo due volte meno e lo facevo meglio”. Quanti disastri dovuti a crolli di strutture abitative avremmo evitato se ci fosse stata maggiore fiducia in chi diceva che su quella struttura andava fatto un intervento o, peggio, che non era affatto garantita l’agibilità?
Attenzione, fiducia non significa negazione del giudizio critico. Ciascuno è libero di analizzare un dato e decidere, in scienza e coscienza, di fidarsi o meno. Ma la messa in discussione implica un impegno: quello all’approfondimento. Ciò che invece sta avvenendo ora in Italia è un’epidemia di opinionismo spinto, di commento infondato, che si propaga, complice una tendenza alla lamentazione e una pigrizia di fondo che rende più semplice seguire il vociare scomposto degli indignati rispetto al fermarsi a riflettere, a macchia d’olio e ci invischia tutti. Politici, meccanici, medici, fotografi, insegnanti, architetti e ingegneri, infermieri, fioristi. Tutti sanno tutto, nessuno sa perché. Cresce la sfiducia e con la sfiducia rassegnazione e rabbia, due sentimenti nemici della ragione. Il sonno della ragione, si sa, genera mostri e non è un racconto di fantascienza.
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