Partiti e politici

Perché Elly

16 Gennaio 2023

Autoreferenzialità.
Chiunque abbia avuto l’avventura di frequentare le stanze del Partito Democratico in questi anni, ha potuto toccare con mano la piaga, appurare la malattia che ha irretito i sensi e infeltrito gli animi. L’autoreferenzialità è diventata, giorno dopo giorno, la cifra di un partito sempre più organizzazione di potere e sempre meno comunità. Per averne una prova basta guardarsi indietro, non lontano, basta pensare alla campagna elettorale settembrina: i territori sono stati colonizzati da incontri autocelebrativi, una sequela di messe cantate in cui i ministri del culto e i convenuti erano sempre gli stessi.
Mentre noi non parlavamo a nessuno, se non a noi stessi, la Destra s’è presa il Paese.

Il Partito Democratico è all’ennesimo tornante della sua storia, all’esito di un percorso che aveva ambizioni costituenti ma che tale non è stato. Qualche compagno, in questi giorni, ha detto sapientemente che la vera costituente s’invererà a Primarie concluse: è una lettura, a mio avviso, calzante. Se guardiamo alle due candidature principali, Schlein e Bonaccini, siamo in presenza di due idee diverse di partito, due modelli ontologici alternativi che, per la prima volta, si confrontano davvero.

Userò delle semplificazioni per esigenze espositive. Mi perdonerete.

Quello di Bonaccini è il partito del 2007 “come se nulla fosse accaduto”, il partito onnicomprensivo che parla a tutti e finisce per non rappresentare nessuno. Tuttavia, il tempo del sogno bipolare è finito, quell’Italia in cui le sinistre erano unificate dal fattore coagulante dell’antiberlusconismo è consegnata alla storia recente. L’offerta politica si è frammentata, se preferite, articolata e quel modello, se non rivisto, rischia di diventare il partito delle buone intenzioni, senza identità e non in grado di produrre appartenenza.

Il PD deve scegliere. Scegliere chi essere e, dunque, chi rappresentare, diversamente non rappresenterà nient’altro che sé stesso, ecco il fantasma dell’autoreferenzialità. Per questo non può funzionare il partito degli Amministratori: le pragmatiche esigenze del governo dei territori, pur nobili, finiscono per confondere le ragioni della politica e quelle del governo. Per questa via il Partito diventa il fine e non il mezzo, contenitore nel quale tutto entra, tutto si mescola perché manca la bussola dell’identità, si perde la visione da offrire al Paese. D’altronde il “ma-anchismo” è stata la spina nel fianco dei tre lustri appena trascorsi: siamo quelli del Jobs Act ma anche del Reddito di cittadinanza.

In questi anni ho visto busti contorcersi, gambe accartocciarsi, visi incresparsi di fronte a chiunque abbia avuto l’ardire di pronunciare parole di Sinistra in questo partito, come se esistesse un solo modello novecentesco, scolpito nella storia, immoto e immutabile e quindi da rifuggire. Eppure, in Europa e nel mondo, la Sinistra ha avuto la forza di cambiare, caricandosi sulle spalle lo spirito del tempo, declinando le lotte storiche nel mondo connesso e globalizzato che scopre nuove precarietà, nuovi modelli di vita insostenibili. La Generazione Z, più ancora dei Millenials, sta dimostrando un approccio del tutto nuovo alle battaglie contro l’esclusione sociale, le povertà, l’iper-lavoro, la insostenibilità ambientale, le diseguaglianze. Il PD, invece, è rimasto fuori dal presente, tutto intento ad incensarsi come il simulacro di un tempo andato, incapace di veicolare le lotte di interi pezzi di società che s’incanalano, come un fiume in piena, verso forme di politica non partitica che da un lato non guardano più al Partito Democratico e dall’altro, spesso, faticano a farsi proposta di governo.

Un PD di restaurazione, che guarda al 2007, che si accartoccia ancora una volta su sé stesso, che non intercetta questo mondo, è destinato a spegnersi e lentamente morire. Per queste ragioni la proposta di Elly Schlein è quella più adeguata, quella più in grado di immergersi con audacia, tenacia e coraggio nel nostro tempo, interpretandolo e rappresentandolo. Non possiamo avere la presunzione di continuare a celebrare messe cantate, a postulare la tenuta di un modello di partito che non resiste più, perché non accende passione, non genera senso di appartenenza, non veicola quelle militanze che vivono le loro storie altrove.

La proposta congressuale di Elly Schlein è abitata da una parola chiave che il PD, in questi anni, ha perso: redistribuzione. Intorno ad essa si costruisce la proposta di un partito che vuole ritrovare la sua missione. È intorno alla redistribuzione che abbiamo edificato le architetture economiche e fiscali dello Stato sociale di diritto. La redistribuzione non è una parola antica e impolverata, essa assume oggi declinazioni ulteriori, pone nuove sfide in un tempo ad alta mobilità sociale, interessa la formazione, l’economia della conoscenza.

A questa sfida di rappresentanza si aggiunge quella, altrettanto rilevante, di selezione della classe dirigente: il Partito Democratico ha sedotto, cresciuto e poi abbandonato avanguardie diffuse, una generazione che si è organizzata e si sta organizzando a prescindere dal PD, perché fatta fuori dalle filiere di potere che si autoalimentano. A questa generazione dobbiamo restituire centralità, diversamente faremo i conti con l’ennesima età perduta, sacrificata sull’altare dell’autoreferenzialità.

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