Partiti e politici
Perché Capitan Ciliegia è un destino
Forse, tra qualche decennio, ripenseremo a questi ultimi fittissimi mesi in maniera diversa. Ripenseremo al distanziamento fisico, e non sociale, durante il lockdown come a una parentesi spessa, ferrigna, fatta di preoccupazioni condivise, di ciclopiche ipocondrie, di fragilità messe a nudo, di isterismi inediti, di dialettica virologica e di mani screpolate. Ripenseremo al distanziamento sociale, quello vero, e al riavvicinamento fisico della Fase Due come a un periodo di introversione massiva sepolta sotto strati e strati di ritorno coatto alla normalità, di orizzonti d’attesa sfocatissimi, come a un periodo di distanziamento emotivo dall’orrore del giorno prima. Anzi, del giorno in corso. Anzi, del giorno dopo.
Magari, nel junk time delle nostre esistenze, nell’inquadrare con cura l’età pandemica, ripenseremo addirittura alle prodigiose iniziative di Capitan Ciliegia. Il più gradito dagli italiani anche quando sgranocchia libidinoso l’omonimo frutto mentre di fianco c’è chi parla di morte infantile. Il più gradito dagli italiani anche quando, smascherinato e dedito agli assembramenti, protesta, da ex ministro dell’Interno, contro il suo scarso protagonismo durante la fase acuta della tragedia, finestra temporale che per costituzione richiede serietà, concetto a lui estraneo. Il più gradito dagli italiani finanche quando, con palese insulto all’umana intelligenza, decide di ingraziarsi nuove fette di elettorato, su indicazione della sua macchina da guerra propagandistica, con il solo ausilio di un paio di occhiali: e il gadget della moderazione, l’ipostasi del cambio di prospettiva, in effetti, basta e avanza per convincere la scettica borghesia un filino troppo imborghesita, inutile accompagnarlo con brusche torsioni politiche difficili da comunicare; il consenso, negli anni Zero, si costruisce con una rivoluzione allo specchio, l’occhialuto è meno macho ma più affidabile.
Eppure, gli ottimistici detrattori, chissà perché convinti che le insopportabili sconsideratezze di Capitan Ciliegia risultino doppiamente insopportabili in tempi tragici, amano ripetere che “i sondaggi lo penalizzano”. La verità è che nonostante gli sfaceli dei suoi arcinoti mentori (Bolsonaro e Trump) nella gestione delle vicende emergenziali e nonostante il suo bellicoso avanspettacolo perpetuo, se si votasse domani, vincerebbe a mani basse, grazie anche al sostegno degli encomiabili giannizzeri del Sud. Perché, tutto sommato, il campo semantico che innerva l’immaginario collettivo italico, lungi dall’aver inglobato nuove priorità e nuove parole d’ordine con l’abbattersi del SarsCov2, potrebbe non essersi spostato di una virgola. La ritirata psicologica delle istanze razzistoidi anti-immigrato e delle istanze tax free, che tanto giovano alla conservazione delle iniquità socio-economiche, potrebbe non aver mai avuto inizio. Nemmeno i pochissimi centimetri dalla morte diffusa sono riusciti a ridisegnare i confini dell’augurabile o a far cristallizzare in via definitiva la messinscena sovranista.
Rassegnamoci, Capitan Ciliegia è decisamente nel nostro destino. Prima o poi ci toccherà in sorte investito di un ruolo di primo piano. L’evoluzione verso la totale inconsistenza del messaggio politico e la sua riduzione a sottoprodotto pubblicitario privo di volto, camaleontico in base all’umoralità del momento, gli spianeranno la strada.
Il ritorno alla normalità, d’altronde, è un imperativo categorico megafonato in ogni dove, i bollettini della mattanza delle 18 di qualche settimana fa, tra non molto, si disperderanno nell’ordinario fluire fenomenico e saranno estrapolabili dalle nostre teste solo per mezzo dell’ipnosi regressiva: Capitan Ciliegia lo sa bene ed è pronto a occupare il posto d’onore che la storia gli sta riservando, la normalità è il suo propulsore.
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