Partiti e politici
Per Salvini i social fanno censura, far rimuovere gli striscioni non lo era
Utilizzare il termine “censura” per i blocchi e le limitazioni che i principali social network hanno imposto a Donald Trump è fuorviante: la censura la praticano gli Stati, non delle società private che offrono servizi gratuiti e con le attuali leggi possono disporre delle identità digitali degli utenti a loro piacimento, a cominciare dall’uso commerciale dei dati immessi sulle loro piattaforme. Se non paghi, il prodotto sei tu, spiega bene il bel documentario “The Social Dilemma” di Jeff Orlowsky: ne consegue che le “vite virtuali” dei politici, dei giornali, dei divi dello spettacolo, degli influencer e chi li segue, siano prodotti che muovono economia attraverso il traffico dati. Perché Facebook non è solo “A cosa stai pensando?”, sono 21,47 miliardi di dollari di fatturato nel 2020 con 7,85 miliardi di utile netto, 56.653 dipendenti e 1,82 miliardi di utenti attivi al giorno. Numeri assai più contenuti quelli di Twitter, ma parliamo sempre di 936 milioni di dollari nel solo quarto trimestre del 2020.
Tra i tanti che oggi si indignano per la tardiva sospensione dei profili dell’ormai ex presidente USA, sono in pochi a chiedersi quanti soldi perderanno le aziende Twitter e Facebook per il mancato traffico su quei post e su quei tweet, quanto il loro sostituirsi alle pubbliche autorità nel momento in cui il Trump in carne ed ossa, tramite la sua “vita virtuale”, è diventato un pericolo reale per gli Stati Uniti d’America a e per il mondo, gli sia costato in termini economici.
E fa anche un po’ sorridere il fatto che a scagliarsi contro le decisioni delle aziende siano gli stessi politici che da anni si oppongono alla regolamentazione delle identità digitali, al fatto che ogni utente – si tratti dell’uomo più potente del pianeta o della signora Carmela da Santa Maria di Capua Vetere, sua agguerrita fan – dovrebbe godere di diritti e (soprattutto) doveri quando si affaccia in quell’anarchico villaggio globale che è la rete. Perché è facile parlare a sproposito di “censura” senza guardare l’altra faccia della medaglia: quella di un luogo non-luogo in cui molti reati restano impuniti per l’assenza di norme chiare sia a livello di singoli Stati che a livello internazionale.
Come ovvio, tra i difensori della libertà di parola contro i metodi “staliniani” di alcuni colossi del capitalismo, c’è il leader della Lega e del centrodestra, Matteo Salvini. Strano che non si sia mai indignato quando la Digos entrava nelle case delle persone che esponevano striscioni di protesta nelle città in cui andava a recitare nei comizi nell’anno in cui è stato ministro dell’Interno, strano che non abbia protestato per le azioni – quelle sì, di censura – di alcuni agenti delle forze dell’ordine nei confronti di chi osava contestarlo durante le sue perenni uscite pubbliche.
Fino a quando non ci saranno delle regole a mettere ordine nella vita virtuale di ognuno di noi, regole che imporranno una condotta a chi quelle vite le gestisce e le utilizza per far soldi, sarà inutile discutere e lamentarsi per le decisioni legittime di soggetti privati che fanno esattamente quello che c’è scritto in quei lunghi paragrafi che non leggiamo mai prima di cliccare su “acconsento”. L’unica cosa che potremo continuare a fare è ringraziarli quando si sostituiscono a una politica colpevolmente assente, a quei censori che non amano essere censurati.
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