Partiti e politici
Per Renzi il Pd non ha una storia, vedere sito e Unità: e se avesse ragione?
Lo sappiamo, trattasi di estiva quanto squallida provocazione, ma se sul sito ufficiale del Partito Democratico tu componi la ricerca “Amadeo Bordiga», il computer si affloscia come un panettone lievitato storto, poi ha quasi un mancamento e con quel filo di due punto zero che gli resta ti comunica: «Spiacente, ma la ricerca non ha dato nessun risultato». Inutile comunicargli – al computer e al Pd – che sarebbe più elegante scrivere “alcun risultato”, il fatto è che quella storiaccia lì comunista non è pervenuta, nè penetrata surrettiziamente, nel cervellone del nuovo partito. E se poi, sempre con l’estro del rompiballe, ti viene di provare con degli umani ancora viventi e variamente comunisti come Veltroni, Bersani, D’Alema e altri, il risultato non si sposta poi di molto, al massimo compaiono nella Direzione Nazionale e nulla più. (Veltroni è l’unico che ha una citazione “contemporanea”, avendo scritto un pezzo, guarda un po’ il caso, per la nuova Unità renziana e anche non essendo comunista per sua stessa annunciazione). Di questo Ufficio Rimozione debbo la conoscenza a Chiara Geloni, che qualche giorno fa ingaggiò una tuittata bollente con Alessia Rotta & C., le quali s’affannavano a dare la colpa a Brin&Page di Google, due fancazzisti che non hanno voglia di caricare la Storia. Ma insomma, “ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro”.
Fa tenerezza anche il nuovo cammino dell’Unità, ma qui siamo nell’ordine più naturale delle cose. Quando lavoravo a «Il Giorno», allora di proprietà Eni, nessuno s’azzardava a proporre “una bella inchiestina” sul cane a sei zampe in nome della libertà di stampa, primo perchè sarebbe stato preso come un pirla senza speranza, secondo perchè uno così sprovveduto era molto meglio licenziarlo. Se oggi dunque il padrone del giornale «fondato da Antonio Gramsci» è Matteo Renzi, la pretesa che da quelle colonne gli si debba sparare addosso è decisamente fuori luogo. Altro è entrare in quel girone di santi e madonne che sembra aver intrapreso l’indomabile D’Angelis, nella sua qualità di uomo-cannone sparato nel firmamento Pd per illustrarne la beltade. Raccontano i giornali di suoi agografici tampinamenti di ministre, tra selfie e salamelle al sapor di Boschi, che hanno suscitato plurime ironie e celesti riferimenti alla «Pravda di Cernenko». Ma quello, nel senso del D’Angelis medesimo, se ne strasbatte altamente e rivendica il suo faticoso cimento. In questo caso, ci sentiremmo di dire solo una cosa, che poi farebbe parte del mondo della libera concorrenza, oggi che l’Unità “sarebbe” un privato quotidiano: se così facendo il giornale attrae lettori, D’Angelis ha ragione mille volte, se i lettori li perde, quella è la porta.
La mutazione del Pd preferiamo vederla dalle piccole cose, piccole e molto significative, come il sito ufficiale e il giornale ufficiale, perchè spiegano in modo suggestivo ma altrettanto chiaro lo scontro interno tra “nostalgisti” in servizio permanente effettivo e le truppe renziane che marcerebbe compatte verso nuovi orizzonti. Il renziano e il nostalgista non hanno (più) una striscia di terra neutra sulla quale avanzare una possibile trattativa, se la sono mangiata con la reciproca arroganza e sì, con quella parte di odio (politico) che ognuno versa nei confronti dell’altro (il sospetto che ci sia anche un odio personale è purtroppo alto, ma preferiamo credere che non sia così, non sarebbe dignitoso). Per esempio: è chiaro anche a un bambino che quella riforma del Senato è una oscena volgarità non degna di un Paese civile, ma ormai è difficile per i renziani che l’hanno concepita – trasferendo la loro volgarità liquidatoria nella riforma stessa – assumere per buona qualunque sollecitazione che provenga dal campo avverso. Ma anche i cosiddetti dissidenti: che senso ha entusiasmarsi per avere sgambettato il governo su un emedamento-cagata di cui il mondo non saprà mai nulla, non è meglio dire con voce chiara e forte che la riforma della Rai, per come è concepita, è una squallida fotocopia dell’esercizio democristiano del passato? Non è meglio battersi per i principi, che poi sono quelli cari ai cittadini, piuttosto che tramare nell’ombra immaginando quattro gocce di pioggia che non fanno neppure un temporale? Se dobbiamo menarcela così fino al 2018 – “pura masturbatio grillorum”, direbbe Brera – allora ha ragione Giachetti, meglio posare la clava e prendere la scheda elettorale.
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