Partiti e politici

PD: un partito per capibastone. Il caso napoletano

12 Giugno 2019

Il Partito Democratico venne concepito, dieci anni fa, per incarnare, costruire e consolidare in Italia e in Europa un campo ampio di centro-sinistra, riformista e a vocazione maggioritaria.

È chiaro a tutti come il PD, erede delle grandi tradizioni democristiana e comunista e interprete delle istanze ambientaliste, sociali e civili che animano la Repubblica, sia ontologicamente votato al pluralismo interno. Di questo pluralismo, la deriva patologica è notoriamente quel correntismo che alberga, storicamente, in tutti i grandi partiti che si sono succeduti nella storia più e meno recente del Paese.

Di questo correntismo sfrenato, le teste d’ariete o, se preferite, le punte di diamante sono i capibastone o capicorrente che, secondo un sistema non dissimile da quello che strutturava la società medievale, governano, indirizzano, muovono in maniera autoreferenziale la macchina del PD. Questa patologica deriva trova in Campania e nel napoletano prassi strutturate, ataviche, radicate e ramificate, tanto da rendere il Partito Democratico (qui ma non solo, beninteso) un luminoso esempio di ciò che la politica non deve essere.

Questo sistema di vassallaggio imbriglia, dal vertice alla base, la stragrande maggioranza delle iniziative politiche, elettorali e non. Citando l’adagio di un caro compagno di militanza: dalle nostre parti, non si muove foglia che il capobastone non voglia.

In questo giogo perverso tutto diventa autoreferenziale, tutto si avvita intorno alle volontà e le direzioni indicate da pochi “riferimenti territoriali”; è tutto un susseguirsi di espressioni non dissimili tra loro: le tessere di, il candidato di, è volontà di. Il verticismo sfrenato che si è impossessato del PD si insinua ovunque, frustrando e svilendo le grandi potenzialità che la base dem esprime.

Ho avuto la fortuna di conoscere brillanti militanti, Segretari di Circolo infaticabili, giovani amministratori portentosi, schiacciati dal sistema feudale che è sotto gli occhi di tutti e che rende questo Partito non seriamente contendibile per chi intenda guidarlo, nei suoi diversi livelli, con spirito innovativo, forte delle buone pratiche che i territori sono in grado di esprimere.

Ci sono nella comunità del PD straordinarie competenze ed incredibili capacità rese afone dalla stretta soffocante dei capibastone, i quali coltivano un solo obbiettivo: accrescere il consenso personale, mediante il riuscito espediente di illuminare di luce riflessa la pletora dei vassalli ubbidienti, galvanizzati dalla chance di garantirsi un “posto al sole”.

Il neocommissario del PD partenopeo, mandato a Napoli dal Segretario Zingaretti, ha parlato di un “ Partito da rifondare ”, “ in cui gli eletti […] soprattutto i consiglieri regionali, hanno una forza che spesso lede e mortifica le autonomie dei circoli e degli iscritti ” ( intervista di Ottavio Ragione, per La Repubblica Napoli, 2 Giugno 2019 nda.).

Quanto scrivo, beninteso, non rivela nulla di nuovo per chi vive le dinamiche napoletane e non, insisto, della comunità dem; tuttavia i più, giustamente scoraggiati, rinunciano a squarciare pubblicamente il velo di Maya sentendosi piccoli e impotenti, condannandosi ad una silenziosa sofferenza.

È tempo di uscire dal silenzio: s’impone, insomma, una vera e propria opera di rifondazione del Partito Democratico, indispensabile per renderlo nuovamente competitivo, all’altezza delle sue ambizioni e del suo popolo.

 

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