Partiti e politici
Gli astensionisti? Per la sinistra è meglio se continuano ad astenersi
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C’è una domanda che, in molte indagini demoscopiche, viene solitamente posta agli intervistati, vale a dire la loro autocollocazione politica, sulla tradizionale dimensione sinistra-destra. È una domanda spesso cruciale per capire come è fatto il paese reale: in certi periodi (pochi, per la verità) la maggioranza degli italiani si dichiarava più di sinistra o centro-sinistra, in altri periodi erano prevalenti coloro che al contrario si collocavano vicino alla destra o al centro-destra.
Ancora più interessante ciò che emerge se le risposte vengono incrociate per il partito votato, il che ci permette di comprendere quale sia l’anima di questa o quella forza politica, se le politiche messe in pratica dal partito siano congrue con i desideri o le attitudini del suo elettorato. Se ad esempio molti degli elettori di Forza Italia si dichiarano di centro-destra e gli interventi di governo privilegiano misure più stataliste che liberiste, è probabile che una quota considerevole dei suoi elettori si mostri scontenta dell’attività legislativa del partito. E viceversa per il Partito Democratico, qualora prenda provvedimenti lontani dalle aspettative dell’elettorato dem, come ad esempio le famose “lenzuolate” di Bersani, che certo diminuivano il controllo pubblico su molti aspetti legati al mercato.
Ma che succede se la dimensione destra-sinistra perde la sua rilevanza, se molti degli intervistati non si riconoscono più in questa distinzione? È proprio ciò che sta accadendo da quasi dieci anni nel nostro paese. A partire più o meno dal boom elettorale del Movimento 5 stelle, che si è sempre dichiarato mal disposto a collocarsi politicamente all’interno di questo asse, molti degli elettori si sono progressivamente spostati tra i “non-collocati”.
Oggi a fronte di un 27-28% che si dichiara o di sinistra o di destra (o se vogliamo di centro-sinistra o di centro-destra), abbiamo oltre il 30% degli elettori che appunto non si colloca su questa dimensione, che non la riconosce come essenziale per la propria scelta elettorale. I non collocati sono ovviamente prevalenti tra chi vota M5s (per quasi la metà tra di loro, se sommiamo anche i “non so”), e stanno crescendo anche tra gli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia.
Ma la stragrande maggioranza di loro la troviamo tra gli indecisi e tra i potenziali astensionisti, con quote che giungono a toccare il 60%, oltre ad un altro 15% che non sa dove collocarsi. È per questo motivo che le speranze dei partiti della sinistra di recuperare voti, di convincere gli elettori della cosiddetta “area grigia”, quelli che tendenzialmente diserterebbero le urne, a votare per loro è estremamente fragile, estremamente difficile. Molto più semplice invece che siano i partiti di destra o il M5s a diventare la loro possibile scelta, nel caso decidessero di votare, perché più vicini al loro modo di pensare, alla loro visione poco strutturata della politica.
Per dirla più chiaramente: se i “non-collocati” vanno a votare, sceglieranno forze politiche meno “collocate”, più pragmatiche, quelle che hanno abbandonato i riferimenti ideologici tradizionali, in particolare quelli legati alla sinistra. Non a caso, sono proprio i giovani quelli che si dichiarano maggiormente estranei alla dimensione dell’autocollocazione politica, al contrario di ciò che accade invece tra i più anziani (ed è facile pensare subito al popolo dem). Accanto alla già nota frattura centro-periferia, un ulteriore arduo dilemma da risolvere per la sinistra italiana, ma anche per quella occidentale nel suo complesso.
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