Partiti e politici
Pd, futuro cercasi
«Nessun sondaggista ha previsto niente».
È stato detto spesso in questi mesi, a partire dal 26 febbraio, quando Elly Schlein rovescia i pronostici e diventa segretario del PD.
Si potrebbe pensare che per una fortuita coincidenza si sia chiuso il ciclo inaugurato esattamente dieci anni prima – il 25 febbraio 2013 – quado Luigi Bersani, allora segretario del PD, fallisce l’operazione di indicare il successore di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica dimostrando così di non comandare nel suo partito. Ancor meno di essere il punto di mediazione nel centrosinistra ormai in cerca di una nuova identità di fronte all’emergere del Movimento 5 stelle.
Difficile dire che sia proprio così. C’è sicuramente la voglia di riscatto, ma il quadro non è quello di un percorso definito
In un’inchiesta costruita al tempo presente David Allegranti (Quale Pd, Laterza), fa un viaggio nel Pd intorno alla novità Schlein e il quadro che fornisce è quello sostanzialmente dell’incertezza ma anche della spaccatura interna.
La vicenda della riforma Nordio sulla questione dell’abuso d’ufficio rende plastica questa spaccatura. Da una parte Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci del Pd, sostanzialmente favorevole alla riforma, dall’altra la segreteria del PD che esprime verticale opposizione.
Osserva Allegranti come il PD abbia un problema di identità. Certo. Tuttavia, questa diagnosi rischia di trasformare una riflessione politica e la necessità di dare una risposta politica in una versione solo valoriale, comunque esclusivamente culturalista, della natura di quella crisi.
La crisi o comunque forse meglio la sfida, è invece tutta politica riguarda varie questioni che costituiscono molti punti essenziali del viaggio che Allegranti propone al lettore attraverso le riflessioni di varie voci, alcune protagoniste in prima fila del PD, anche nella segreteria attuale, altri che costituiscono figure storiche di tutta l’esperienza del centro-sinistra dagli anni dell’Ulivo di Romano Prodi a oggi.
Essenzialmente Allegranti ha il merito di individuare alcuni dei temi essenziali, che sono anche le sfide del processo di rifondazione a cui è chiamato il PD. Ne riassumo alcuni.
Il primo tema è se oggi un partito è un luogo di riflessione e di proposta degli iscritti o di segmenti della società civile. Ovvero se il protagonismo politico derivi da forme consolidate e collaudate del fare politica di tipo novecentesco, o se invece l’elezione di Schlein non indichi anche una trasformazione del rapporto tra politica e movimenti. Il che significa che rifondare un partito oggi forse include avere un rapporto con lei movimenti che non è solo di rappresentanza, ma anche di ascolto.
Il secondo tema è il corpo delle sfide di tipo novecentesco a cui voleva rispondere il PD all’atto della sua costituzione. Pietro Ichino ne indica cinque che stanno tutt’oggi sul tavolo della politica. Per la precisione:
1. riformisti/rivoluzionari;
2. cattolici progressisti/sinistra laica;
3. operai/imprenditori;
4. Stato/mercato;
5. Liberismo/socialismo
Quei cinque temi si consegnano oggi irrisolti alla discussione interna al PD.
Il terzo tema è che fisionomia abbia il leader politico, se si configuri come un centro di mediazione o come un uomo solo al comando.
Il quarto tema che potremo considerare intrecciato col precedente è se oggi deve essere prevalente la questione della formula politica o invece le persone ovvero gli interlocutori o le figure emergenti nei propri interlocutori.
Aver scelto i secondi e non la formula politica, dice Lorenzo Guerini, ha voluto dire non riflettere su come poteva rinnovarsi la proposta politica e, alla fine, risultare dipendenti o subordinati.
Complessivamente è anche il senso delle riflessioni amare di Rosy Bindi che esorta a scelte radicali e in quelle scelte pone il problema del finanziamento pubblico dei partiti.
Diversamente, dice, il risultato è quello sotto gli occhi di tutti: un sistema in cui il finanziamento arriva attraverso fondazioni che esprimono e pongono condizioni. Conseguenza: l’apparente autonomia tradisce, in realtà, la condizione di eterodirezione dei partiti che rispondono a chi finanzia il quale detta le sue condizioni.
Una logica che applicata su un piano diverso è quella stessa che pone Giorgio Gori, il sindaco di Bergamo.
Nelle pagine conclusive del libro Gori affronta il nodo del futuro, in primis di come si proponga progetto di una politica sostenibile in un profilo che di fatto è la conseguenza della struttura a pera rovesciata dello spettro sociale: una società di anziani che vive sulle spalle di un mondo di giovani e di adulti in età di lavoro sempre più stretta e dunque una realtà dove i costi di «manutenzione» (dall’assistenza, al welfare, alla sanità, alla tutela dei soggetto più fragili) diventano sempre più insostenibili. Un quadro che si riassume in un processo di polarizzazione sociale è in crescita.
Per cui la domanda: in un paese in cui peraltro la pressione fiscale è già molto elevata, è proponibile la strada della patrimoniale? Quella strada che in altre occasioni eccezionali – per esempio nel 1946 – perfino un liberale come Luigi Einaudi, proponeva, quanto è percorribile oggi? Quella scelta, sosteneva Einaudi, pur come atto straordinario, risulta efficace e risolutiva se rispetta almeno tre condizioni che alludono a una rifondazione del patto politico tra cittadini.
Ovvero:
1. imposta davvero straordinaria e quindi una tantum;
2. l’epilogo di un’era di tassazioni continue ed esasperanti;
3. funzione di compiere un miracolo. Ovvero «mutare a fondo la psicologia del contribuente».
In breve: una risoluzione fondata su un patto.
Per proporlo, tuttavia occorre autorevolezza e una fisonomia di programma. Ovvero: una proposta di futuro.
Quella condizione preliminare è parte non indifferente del deficit politico alla data di oggi del PD.
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