Partiti e politici
Le parole psicopatologiche dei nostri politici e giornalisti
In questi giorni di commenti ossessivi ed ossessivizzanti che ci attendono su tutte le piattaforme di comunicazione, in ordine ai risultati elettorali, non può sfuggire la profonda connessione che coniuga il linguaggio a più intense necessità di gestione dei conflitti non sempre peraltro coscienti, né a chi li propone, né a chi li vive o deve comunque subire.
Partiamo da una semplice considerazione: vi verrebbe mai in mente di chiamare un uomo fatto e finito ex feto? Perché allora quando si fa riferimento a figure che hanno avuto qualche ruolo magari dieci, quindici, venti anni addietro, ci si continua a riferire a quelle persone rimuovendo in parte le funzioni che svolgono nell’attualità? Così abbiamo a che fare con ex sindacalisti, non importa se oggi sono pensionati o servitori dello stato, che rimangono ex sindacalisti. Abbiamo gli ex comici, che si portano a casa milioni di voti, ma debbono nella vulgata nazionale rimanere ex comici. Ci sono le ex soubrette, ormai cadenti ed in climaterio avanzato, ma pur sempre ex soubrette. Ci sono gli ex presidenti che spaziano dalla più alta carica dello stato per arrivare alla bocciofila sotto casa, purché rimangano ex presidenti. E poi gli ex sindaci, gli ex portieri della squadra in cui militavano dieci anni prima e qui mi fermo ma ognuno può completare la lista come meglio crede: gli argomenti e gli ex non mancano di certo.
Si possono dare due interpretazioni complementari di questo uso del prefisso ex . L’una presuppone una forte complicità di identificazione dei testimoni nei confronti dei testimoniati: nel senso che continuando a rimandare l’immagine delle tue antiche funzioni, in fondo caro personaggio pubblico, continuo a gratificarti, ti avvolgo nella permanenza e costanza oggettuale della lusinga anche quando magari sei finito a far niente; non si sa mai che tu possa tornare in auge, nel qual caso averti lusingato, potrà sempre farmi comodo (i giornalisti sono maestri di tale modalità). L’altra invece comporta un annebbiamento delle funzioni attuali, normalmente nel tentativo, non poi tanto inconscio, di dare poca importanza al personaggio, anche quando il personaggio sembra averne. Direi quasi che questa seconda ipotesi può avere un minimo senso in funzione predittiva circa le carriere dei politici, più li si disconosce nella loro dimensione attuale e li si rimanda al loro passato, più probabilmente stanno emergendo in maniera sentita come pericolosa per gli equilibri attuali (questa modalità sembra appartenere più ai colleghi o agli antagonisti).
Qualcosa di simile accade anche con l’insulto o la stigmatizzazione di qualche aspetto fisico. Quando ero bambino io, e ne sono testimone diretto perché portavo gli occhiali già allora, erano tempi duri rispettivamente per chi portava appunto gli occhiali (“quattrocchi”), per chi era grassoccio (“ciccio bombo cannoniere”), per chi aveva le orecchie a sventola (“orecchione”), per non parlare di handicap più seri verso cui la crudeltà infantile era inesorabile.
I nostri commentatori, e non solo loro – ma anche le persone comuni, ormai mirabilmente indottrinate all’uso di un linguaggio all’apparenza ironico, nella sostanza svalutativo – in taluni momenti diventano bambini e come i bambini tentano di annientare l’altro e di sancire la loro presunta superiorità, attraverso l’attacco al corpo. Abbiamo così allora: il nano pelato, il nano economista, il baffetto mefistofelico, il presidente ebetino, l’onorevole grissino, il mortadella, il trota, cachemirino, eccetera.
Qui l’ironia confina con un atteggiamento profondamente sadico, che di politico e forse anche di umano ha ben poco. Il tentativo è di svalorizzare l’avversario colpendolo nelle sue parti più fragili non fosse altro perché sono quelle che non possono essere cambiate: con un certo soma si nasce e con un certo soma si muore, poco ci possiamo fare a meno di non ricorrere a mezzi riparativi, che poi però rischiano di cadere nel grottesco e di creare toppe peggiori dei buchi che dovrebbero occultare.
Si ripete in definitiva il rituale che primeggiava nei cortili dove i bambini giocavano, e anche se oggi l’agorà assume vesti pompose e solenni, il gioco infantile non cambia. Chissà, forse però vale la pena di non esagerare, perché poi c’è il rischio che arrivi qualche “Scarface”, e quelli come lui sistemano le cose a modo loro.
Devi fare login per commentare
Accedi