Partiti e politici

Parlare (male) di Khelif e della Strage di Bologna è sempre meglio che governare

4 Agosto 2024

Seguire i passi e le parole di Giorgia Meloni e del suo governo, in questa stagione di bonaccia estiva, finisce per essere una bella lezione sull’arte perenne della divagazione. Scorrendo le pagine dei giornali e i titoli dei tg dei giorni scorsi,  il viaggiatore che arrivasse da un’altra dimensione spazio-temporale, si potrebbe convincere del fatto che i principali problemi che attanagliano l’Italia del 2024 sono i combattimenti di pugilato femminile e la tormentata memoria di una strage neofascista avvenuta quarantaquattro anni fa. Più precisamente, si potrebbe pensare che le principali preoccupazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni siano la denuncia strumentale di combattimenti non “ad armi pari” delle pugili italiani, a tutto vantaggio delle loro avversarie alle Olimpiadi, e il rimbrotto alle famiglie delle vittime della strage di Bologna che denunciano radici comuni tra la destra della premier e quella che ha progettato e realizzato l’eccidio del 2 agosto del 1980.
In paesi e società evolute sarebbero questioni decisamente minori, entrambe da dare per acquisite e assodate, incapaci di occupare l’agenda della più importante carica politica. Non è così un paese in perenne regressione, e quindi vale la pena di mettere un paio di punti fermi, e di aggiungere qualche punto di domanda ai quali nessuno, tra chi dovrebbe, si curerà di dare risposta.

La vicenda Carini-Khelif, incontro di pugilato femminile alle Olimpiadi di Parigi, è quasi brutale nella sua capacità esemplificativa. Spiega con precisione cosa succede, nelle società di oggi, in quella italiana ma purtroppo non solo, quando le questioni serie e complicate vengono maneggiate come elementi di propaganda dalla politica, in particolare da quella reazionaria. A dare fuoco alle polveri è il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, già Capitan Papeete, già candidatore orgoglioso del mondo alla rovescia del General Vannacci, Matteo Salvini. È lui il primo a lasciar correre la diceria di un incontro impari, con un sottointeso non involontario: che Khelif sia un’atleta trasgender, cioè che sia nata maschio e diventata donna grazie a chirurgia e terapie. Subito dopo l’incontro, chiuso con un ritiro lampo da parte di Carini, ci pensa Giorgia Meloni in persona, direttamente a Parigi, a casa Italia, a rincarare rincorrendo Salvini: “Non era un incontro alla pari”. Che di per sè è una frase non proprio intelligente, visto che nello sport può capitare che le sfide non siano ad armi pari. Altro, tutt’altro, sarebbe affrontare seriamente il tema degli atleti intersex, cui appartiene Khelif, e discutere in un mondo che cambia – e migliora anche, fortunatamente, nelle conoscenze sc ientifiche e genetiche – di se, come e quando chi ha livelli di testosterone naturalmente più elevati delle altre donne può partecipare. Altro, tutt’altro, sarebbe discutere della politica sportiva globale, sempre più spesso preda delle ricadute di battaglie geopolitiche, nelle quali la Russia dell’ex idolo di Salvini prova a dire la sua, ovviamente in contrapposizione all’Occidente atlantico del quale la capa di governo è diventata fedelissima. Questioni complicate, non sia mai di parlarne. Intanto però l’idea che Khelif sia un essere umano nato maschio e poi diventata donna è passata, e chi guida il governo ha scientemente voluto lasciar correre un’idea falsa che vellica i peggiori istinti, invece di parlare seriamente di una verità complessa. Non è la prima volta, non sarà l’ultima, continua tuttavia a essere imbarazzante.

Che Giorgia Meloni abbia sentito il bisogno di intervenire sulla Strage di Bologna appare, invero, più sensato. Di fronte a Paolo Bolognesi, rappresentante delle famiglie delle vittime, che denunciava l’esistenza di radici della strage nella destra di Governo, pare ovvio che Giorgia Meloni abbia sentito il bisogno di replicare. Lo ha fatto però a modo suo, relativizzando la certezza che la strage sia neofascista, specificando che così è “secondo le sentenze”. Aderendo, seppur in maniera implicita, a una lettura diffusa non solo nei suoi ambienti politici che al racconto maggioritario – e passato in giudicato – sulla strage del 2 Agosto manchi un pezzo. Un conto è dire che manca un pezzo, però, e altro è aderire al racconto di Giusvalerio Fioravanti che nega ogni addebito. Bolognesi ha usato parole dritte e militanti, come può e forse deve succedere a chi è vittima, orfano, vedovo di un reato. A noi che abbiamo il privilegio della distanza invece piacerebbe fare domande a Giorgia Meloni e ai suoi. Chi di loro ha conosciuto e frequentato Fioravanti, Mambro e i reduci dei NAR? Che ruolo hanno avuto gli ex estremisti nella formazione di una classe politica che oggi governa? Non parliamo degli anni delle stragi e del terrorismo nero, naturalmente, anni in cui Giorgia e i suoi Fratelli sono solo nati. Parliamo degli anni dopo, dei decenni del riflusso nei quali la conta dei morti e dei feriti era finita, e chi aveva scritto quelle brutte pagine di storia, da una parte e dall’altra, ricominciava a parlare di politica coi più giovani. Ecco. Quanti di quei reduci giravano attorno ai giovani della destra romana? Ci piacerebbe trasformare la dura accusa di Bolognesi in una domanda, innocente ma sincera.

E così, anche questa settimana ci siamo occupati di questioni identitarie, di genere e di storia, e le cose importanti sono rimaste in fondo, sullo sfondo. Con l’estate che avanza inesorabile, e ci consegnerà in poche settimane a un autunno complicato – sai che novità – per i nostri conti pubblici. Con Meloni che ha scommesso – o si è trovata a doverlo fare – sull’isolamento in Europa, immaginando un futuro con Trump che torna a Washginton e Le Pen che marcia su Parigi, ma che va incontro al rigore di Von Der Layen con l’Europa di adesso, cioè quella di prima. Con lei e Giorgetti che lavorano per avere una persona di fiducia, Daria Perrotta, alla ragioneria dello Stato, che non è elegantissimo, ma la cosa più grave è che la voglia di controllare un organo terzo conferma – non che ce ne fosse gran bisogno – che i conti italiani fanno paura anche a chi esulta tutti i mesi per unozerovirgola di pil in più. Questioni complicate, perfino più complicate dell’intersessualità nella boxe femminile o delle radici fasciste di alcuni esponenti di maggioranza e governo. Sarà per questo che si preferisce parlare di queste ultime. Purchè sia garantita l’assenza di contraddittorio.

 

 

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