Partiti e politici

Il manager che deve rimettere in moto un progetto politico a destra

29 Luglio 2016

Il centrodestra è in crisi. Da anni. La svolta lepenista da un lato, e l’indeterminatezza della leadership dall’altro hanno deluso, confuso e quindi allontanato gli elettori di almeno una decina di punti percentuali. Chi, come me, ha sempre pensato che la destra da sola non può aspirare a governare l’Italia, guarda criticamente l’allentamento dei cosiddetti “moderati”. Voler credere che questa “categoria” di cittadini-elettori non esista è un terribile errore strategico che la politica di destra degli ultimi anni ha voluto compiere con una pervicacia autodistruttiva. Non c’è da tempo una politica di centrodestra, ma c’è un elettorato di centrodestra, che si astenie o vota il Pd di Renzi, ad oggi il soggetto politico più prossimo al suo sentire.

L’esperienza berlusconiana, che da anni moltissimi sono pronti ad archiviare come conclusa, ha dei meriti, dai quali oggi è necessario ripartire. Ha innanzitutto formulato una politica di governo liberale, dando legittimità politica ad una visione dello Stato e della società che in Italia faticava ad emergere, per una diffusa questione culturale certo, ma anche per scarsa capacità di intercettazione dei mutamenti sociali e delle esigenze ormai eterogenee e differenziate della politica non di sinistra. L’esperienza berlusconiana ha certamente dimostrato, inoltre, che la politica contemporanea necessita di una leadership carismatica, a maggior ragione in un momento storico nel quale il potere legale di weberiana memoria è percepito dai cittadini come il male assoluto e l’emozione ha sostituito l’opinione. E’ necessario un carisma moderno che sappia suscitare emozioni, coinvolgere e sollecitare la partecipazione civile sulla base non solo di qualità personali del leader, ma anche sulla capacità di costruire, condividere e narrare una visione del futuro, inclusiva e propositiva. Infine, la leadership berlusconiana ha saputo essere aggregante, con un limite però che è stato la causa dell’implosione del centrodestra: l’aggregazione si fondava solo sulle capacità persuasorie di Berlusconi, trascurando la necessità, di più lungo periodo e più ampio respiro, di costruire una base comune di temi ideali e scelte programmatiche.

Ora, dopo l’esperienza delle elezioni amministrative, soprattutto romane, nel momento forse di maggior crisi del centrodestra italiano, è di nuovo Berlusconi a prospettare una soluzione, una possibilità percorribile. Stefano Parisi  potrebbe essere l’uomo del futuro prossimo del centrodestra, in attesa che le rinnovate condizioni facciano emergere il nuovo leader carismatico di questa area politica. Perché un dato è certo, e credo non sfugga né a Berlusconi, né agli altri leader di destra: un leader con le qualità necessarie ad imporsi in questi tempi di conflitto sociale e di radicale antipolitica, non può essere scelto e costruito a tavolino. Quello che però si può fare, con un progetto strutturato e guidato dall’alto, è creare le condizioni utili e favorevoli perché il leader emerga naturalmente e quindi possieda la forza necessaria per coagulare, prospettare e guidare un’area politica necessariamente eterogenea e complessa.

Quello che oggi propone Forza Italia non è tanto un uomo, ma un progetto politico, che un manager come Parisi è chiamato a guidare. Intorno a questo progetto potrebbe risolversi la diaspora del centrodestra e veder tornare ad un obiettivo comune quelle forze individuali e collettive che negli ultimi anni hanno tentato strade diverse parcellizzando il voto e il consenso in modo inequivocabilmente fallimentare. Penso al Ncd, a Raffaele Fitto e certamente a Giorgia Meloni, che dovrebbe lasciare la Lega al suo destino di forza di protesta non propositiva, di estremismi e di esagerazioni. La scelta di FdI sarà tra restare al margine dell’area politica inesorabilmente perdente nell’innaturale sovrapposizione con la Lega, o rientrare nell’alveolo della maggioranza di governo, con il suo portato valoriale e ideale che deve essere costruttivo e propositivo. Certo ognuno di questi personaggi politici dovrò compiere un simbolico passo indietro, non tanto in termini di valori e identità, quanto in termini di leadership e di autonomia decisionale, ma facendo attivamente parte di un “gruppo” che significa non appiattirsi acriticamente su un progetto, ma contribuire a costruirlo e a formularlo.

La sfida sarà per tutti una: colmare la voragine che si è andata creando tra la politica e i cittadini, evitando che tale distanza venga riempita dall’antipolitica del M5S e dagli estremismi di tutti i colori. Le persone vogliono un progetto in cui credere, nel quale immedesimarsi e per il quale agire. Non ne possono più delle questioni di palazzo, delle strategie e delle alleanze che servono solo a gestire e a mantenere il potere. Il voto è l’espressione di un’identità, è l’atto esplicativo di chi si è. E allora è necessario tornare a costruire per e sui cittadini, incrociando e rispecchiando il loro mondo valoriale, le loro esperienze di vita quotidiana, ma anche prospettando loro possibilità future e progettualità concreta.

 

 

 

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