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Palermo non è Italia: la Sicilia ripristina le Province

11 Agosto 2017

Delle cinque regioni a Statuto speciale, la Sicilia è sicuramente quella più fantasiosa. A Palazzo dei Normanni, per tradizione sede palermitana del governo dell’Isola e che oggi ospita l’Assemblea regionale, l’uso dell’autonomia statutaria è sempre stato creativo. Spesso pittoresco, talvolta grottesco. A tal punto da decidersi che alcune leggi nazionali valgono per tutta l’Italia, da Bolzano fino a Reggio Calabria, tranne che in Sicilia. Solo a Palermo, infatti, soprattutto in tempi di campagna elettorale, si può decidere che certe norme non possono essere efficaci oltre lo stretto di Messina. Potere dell’Autonomia. O sua meschina deriva, a seconda di come la si interpreti. Questione di Contesto, avrebbe detto Leonardo Sciascia.

Così, nel pomeriggio di ieri, con l’approvazione del disegno di legge n. 1307-1282/A, in meno di due ore l’Assemblea regionale ha ripristinato le Province dell’Isola, abolite più di quattro anni prima. Venendo meno agli obblighi e ai principi imposti dalla “Riforma Delrio”, che ha formalmente eliminato le articolazioni amministrative provinciali su scala nazionale, l’A.R.S. (Assemblea Regionale Siciliana, ndr) di Palermo le ha reintrodotte, approvando a larga maggioranza un testo che prevede l’elezione diretta del Presidente dei Liberi Consorzi di Comuni e del Sindaco metropolitano, oltreché dei rispettivi Consigli.

Con il provvedimento licenziato ieri, l’elezione del Presidente del Consorzio comunale, del Sindaco e del Consiglio metropolitani tornano ad essere a suffragio diretto. Una volta entrata in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale regionale, i cittadini dovranno tornare alle urne anche per eleggere i vertici delle Province, in una data ancora da stabilire fra il 1 gennaio e il 28 febbraio 2018. A pochi mesi, quindi, dalla tornata elettorale che a novembre prossimo occuperà i siciliani per il rinnovo del Presidente della Regione e dell’Assemblea di Palazzo dei Normanni.

La legge prevede che il Consiglio del libero Consorzio comunale sia composto da un Presidente e da 18 consiglieri nei consorzi con una popolazione residente fino a 300.000 abitanti, che diventano 25 in quelli con una popolazione compresa fra i 300.000 e i 600.000 abitanti. Numeri ben più alti per i membri del Consiglio metropolitano: il Sindaco metropolitano verrà assistito da un’assemblea di 30 componenti nelle Città metropolitane con non più di 800.000 abitanti. Per quelle a maggiore densità, i componenti saranno 36. Sia per il Presidente del libero Consorzio che per il Sindaco metropolitano è prevista un’indennità di carica pari a quella spettante al Sindaco del comunale capoluogo. Ai componenti dei Consiglio, invece, spetterà la stessa remunerazione dei consiglieri del comune capoluogo del Consorzio o della relativa Città metropolitana. I membri delle Assemblee non percepiranno alcuna indennità.

La legge approvata dall’Assemblea siciliana nel pomeriggio di giovedì, una volta efficace, provocherà la decadenza dalla carica di Sindaco dell’Area Metropolitana per i sindaci di Palermo, Messina e Catania, con la conseguenza di una nomina di un commissario straordinario che dovrà gestire l’Area metropolitana fino alle prossime elezioni.

Il provvedimento di Palazzo dei Normanni è la prima legge regionale che reintroduce il sistema di elezione diretta degli organi delle articolazioni provinciali, smantellando l’impianto della “Legge Delrio” che aveva previsto un meccanismo di nomina indiretta di secondo grado. È il Vicecapogruppo del Partito Democratico, l’onorevole Panepinto, il primo a sollevare durante il dibattito per l’approvazione del testo la questione di una sicura impugnazione del testo da parte del Consiglio dei Ministri e a ricordare che il Governo ha già impugnato una norma analoga, proprio perché in totale difformità con la normativa nazionale. Si difendono gli schieramenti di centrodestra, che affidano al capogruppo di Forza Italia, Marco Falcone, la difesa della reintroduzione dell’elezione diretta degli organi provinciali: “la riforma costituzionale siciliana è stata un eclatante fallimento in cui gli enti sovra comunali hanno perso ogni loro significato. Ripristinare l’elezione diretta serve ad omogenizzare su tutta la Sicilia un impianto che non ha dato i risparmi né l’efficienza attesi”. Dalla pubblicazione della legge siciliana, il Governo di Roma avrà 60 giorni per impugnare il testo. Termine che scadrà proprio quando la campagna elettorale per le regionali entrerà nel vivo delle ultime settimane, di modo che sia ragionevole aspettarsi che qualunque scelta del Consiglio dei Ministri verrà utilizzata dai candidati alla Presidenza della Regione impegnati in campagna elettorale.

La reintroduzione dell’elezione diretta per gli organi di vertice delle Province siciliane – unico caso in Italia – dimostra che in Sicilia l’autonomia statutaria è utilizzata come arma per piegare la legge dello Stato o per ammorbidirla per asservire finalità diverse da quelle per cui è stata pensata dai padri costituenti. Ancora una volta Palermo ha dimostrato di volere essere capitale della Sicilia, una Regione che fa Stato a sé, dove non vigono le regole e le norme che un’intero Paese condivide e da cui è unito, bensì altre. Diverse e tutt’altro che di esempio. Le regole della linea della Palma.

 

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