Partiti e politici
Palermo, ecco Lagalla, il candidato anni 90 benedetto da Dell’Utri e Cuffaro
Nel salotto palermitano di via Principe di Belmonte il vecchio volpone della politica locale, fiero democristiano (“Io sono rimasto fermo allo scudo crociato”) compulsa gli ultimi sondaggi strettamente riservati: «Lagalla è attorno al 50% e le sue liste veleggiano al 60%. Appare quindi complicato per il centrosinistra rimontare». È evidente che non ci può basare su una voce ma il clima che si respira nel capoluogo siciliano va nella direzione dello scenario descritta sopra. Anche questa volta per riuscire ad ottenere un risultato la coalizione di Berlusconi, Meloni e Berlusconi è andata a bussare alla porta di un profilo che non si può certo definire filosovranista. Roberto Lagalla è noto in città, fa parte di quella aristocrazia palermitana, ormai decaduta, che ha sempre gravitato in ambienti centristi. Rettore dell’Università di Palermo, stimato – se vogliamo – trasversalmente, annovera nel curriculum due esperienza politiche. La prima da assessore alla Sanità di Totò Cuffaro, presidentissimo della Regione siciliana, ai più conosciuto come “Vasa Vasa” per la propensione a distribuire baci in campagna elettorale, ma soprattutto condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra. La seconda esperienza di Lagalla è più vicina, l’ex rettore è stato membro della squadra di governo di Nello Musumeci dal 2017 al marzo 31 marzo scorso.
Eppure la genesi della candidatura di Lagalla ha avuto un iter più che tormentato. Nasce infatti alla conclusione di una lite furibonda fra i partiti. «Ma doveva per forza essere lui il punto di caduta» insistono i centristi della coalizione». Spinta inizialmente da tutti i partiti eredi della tradizione Dc e poi caldeggiata Giorgia Meloni che si schiera tatticamente con il medico palermitano per mettere in difficoltà il rivale-alleato Matteo. Due le benedizioni illustre: Marcello Dell’Utri, altro super condannato, e Totò Cuffaro, ispiratore di un partito che ha scritto nel simbolo “Democrazia cristiana”. «Ma come si è messo in testa, Totò? Non può nemmeno votare» esclamano a Palermo. Per ultimi arrivano il Cavaliere e Salvini. Entrambi avrebbero preferito altre soluzioni, ma si convincono per l’unità della coalizione e a patto che il prossimo candidato alla presidenza della Regione sia uno di loro. Chissà. Fatto sta che la candidatura di Lagalla diventa subito ingombrante, perché dietro c’è l’ombra del due Totò e Marcello. Il centrosinistra, orfano di Leoluca Orlando, eterno sindaco di Palermo ma mai in fondo amato dal Pd, si ritrova a dover convergere su Franco Miceli, ultimo segretario del Pci del capoluogo siciliano e già assessore di una delle infinite giunte di Leoluca Orlando. E dunque il dibattito più che ruotare ai problemi della città. Per dire, i rifiuti, le infrastrutture, l’occupazione. No. Il dibattito ritorna prepotentemente a ruotare attorno alla mafia e all’antimafia. «Lagalla prenda le distanze da Dell’Utri e Cuffaro» si sgolano a sinistra. Serve il certificato di sana e robusta antimafiosità, anche se qui recentemente l’antimafia non ha certo brillato. Eppure Lagalla ci casca e resta silente, per giorni. Non prende parte alla cerimonia del 23 maggio in onore di Giovanni Falcone, e l’episodio diventa caso nazionale. È insomma la solita scena che si ripete questa parti: il centrodestra è rimasto fermo agli anni ruggenti del cuffarismo e la sinistra rispolvera il professionismo dell’antimafia. Vincerà con molta probabilità Lagalla perché qui basta vincere con il 40% più, ultimo regalo di Crocetta per consentire a «Ollando» di trionfare nel 2017. Ma alla fine perderanno tutti: destra, sinistra, centro. E anche i grillini
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