Partiti e politici
Ovviamente il problema non è Zingaretti (solo che non è nemmeno la soluzione)
Nel piccolo sempre più piccolo cerchio che si appassiona alle vicende del Partito Democratico da un paio di giorni non si parla d’altro. Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, candidato ufficialmente alla segreteria del Pd, sarebbe il nome “nuovo” per rilanciare il principale partito dell’opposizione, e l’ultimo lembo della storia della sinistra italiana. Contro questa candidatura si sono mosse le truppe ufficiali del renzismo, con il capo supremo pronto a dichiarare che pur essendo esclusa una sua ricandidatura “ci saranno altri candidati”, e le truppe dedite alla guerriglia che diffondono una card aggressiva per criticare le aperture di Zingaretti al Movimento 5 Stelle, che nel frattempo Zingaretti stesso aveva provveduto a precisare e smentire.
Mentre la polemica politica vola ad altezza uomo, poco sopra o poco sotto la cintura, si registrano adesioni e schieramenti. Chi sta con chi? Un bel pezzo di establishment del Pd sta con Zingaretti, ad esempio, i Gentiloni e gli Orlando, e molti di quanti aderirono al renzismo nella fase che si annunciava trionfale, come Dario Franceschini e i suoi. Con Renzi restano i renzianissimi, quanti hanno sostenuto e non subito la strategia del #senzadime, secondo la quale il Pd, dopo il voto del 4 marzo, doveva stare in un angolo, spingere in ogni modo per la nascita del governo Lega-M5S, e poi gustarsi i pop-corn. È successo tutto, anche se sul gusto e la digeribilità dei pop-corn possiamo sospendere tranquillamente il giudizio.
Ciò che invece sembra già assodato, almeno a me, è che il dibatitto interno al Pd, in vista di un futuro congresso, sembra rappresentare due facce della stessa moneta: una moneta, purtroppo, che ha poco mercato. Da un lato, chi attacca sguaiatamente la candidatura di Zingaretti, sembra essere incapace di ogni autocritica se non quella – finta – che vuole che non si è stati abbastanza se stessi, non si ha rottamato abbastanza, si ha spersonalizzato troppo. Insomma, l’autocritica di chi dice di non essersi fidato abbastanza di se stesso e della propria capacità. Dall’altro, chi invece si rivolge a Zingaretti come “nuovo” salvatore non ne vede alcuni limiti di merito e di metodo che paiono abbastanza chiari, a cominciare da un linguaggio politicista e da una carriera personale puntellata di tante e tali prudenze e attese smentite, che quando il nostro scende in campo il tempo per quella politica sembra irrimediabilmente passato.
Già, perché le due facce della medaglia, dopotutto, sono appunto parti della stessa storia, e sono lementi di una stessa cosa. A sentire e leggere le polemiche di chi sta da un lato e dall’altro, si ha un’impressione di viaggio nel tempo, all’indietro, naturalmente. Guardano indietro gli ultrà renziani che ritengono minacciato il loro afflato di futuro da un possibili ritorno nel partito da D’Alema and C., dopo che le elezioni hanno mostrato quanto niente rimanga di quella storia politica, e quale sia il disinteresse del paese per chi ha fatto la storia della sinistra italiana di qualche decennio. E guarda indietro il ceto politico alla Zingaretti, se ancora pensa che esista un “mondo cattolico” con cui dialogare come ai tempi dell’Ulivo prodiano, e che ci siano portatori di voti in grado di garantire consenso in cambio di alleanze. Guardano indietro gli ex rottamatori, se ancora credono alla favoletta del voto moderato che fu di Forza Italia da attrarre con un partito centrista, e neanche vedono che l’esodo di massa verso lidi salviniani sta lì a dimostrare, ogni giorno, il contrario. E guardano indietro i dirigenti che vogliono rottamare gli ex rottamatori, se credono davvero che tornare al vecchio rapporto organico col sindacato sempre più in crisi di identità e di partecipazione sia la risposta al malcontento dei ceti popolari, che hanno volto sguardo e voti a Lega e 5 Stelle.
Guardano indietro tutti, a quanto pare, per non guardare avanti: c’è un deserto da attraversare, popolato di animali feroci e di donne e uomini ostili. Sono tantissimi, e con loro bisogna parlare, bisogna anzitutto ritrovare la strada di un’empatia, tornare a sembrare appartenenti alla stessa specie vivente. Perché poi il punto è proprio questo: certa politica è vissuta da tanti come se vivesse su un altro pianeta, in un’altra galassia. Forse non è proprio falso, e un dibattito interno così non sembra il miglior modo per dimostrare il contrario.
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