Partiti e politici
Oltre il Renzismo: la chance di Civati
Si sono appena spenti i riflettori sull’assemblea nazionale del PD e il senso di vuoto lasciato a sinistra dalla batosta referendaria non ha trovato risposte. Matteo Renzi ha detto tutto e il contrario di tutto in una relazione che è stata approvata ad amplissima maggioranza e pertanto rimane come unica traccia di quella che doveva essere la sede eletta per effettuare una discussione aperta e costruttiva nel più importante partito politico italiano.
Una assemblea che doveva in teoria discutere ed elaborare una linea diversa, forse avrebbe dovuto licenziare e approvare un documento finale che facesse sintesi dei diversi contributi portati alla discussione e invece si è limitata a riconoscersi pienamente nella relazione/visione del leader, nella sua faticosa quanto poco credibile autocritica, nella sua stanca retorica così lontana dal paese reale che stavolta, a dispetto delle previsioni, ha abbandonato le tastiere dei tablet per incanalare nel voto il suo disagio.
Per una nota legge della fisica se si lascia per troppo tempo un vuoto, quel vuoto viene colmato da qualcuno/qualcosa d’altro, magari qualcuno/qualcosa che non ti aspetti, e che neppure vorresti.
Il trasversalismo a Cinque Stelle che parte dall’assioma che sinistra e destra sono divenute oramai vetuste categorie dello spirito ma non certo della realtà, si candida a coprire quel vuoto, risultando attraente innanzitutto per il multiforme universo giovanile che in questo movimento pare trovare una risposta, anche se del tutto a-progettuale, coerente con la propria genetica avversione a tutto quanto odora di politico prima ancora che ideologico.
In questi giorni mi sono chiesto a più riprese se Pippo Civati, avesse in definitiva fatto bene ad andarsene, seppur non senza travaglio dal partito democratico. Nell’ultima sfida per la leadership all’interno del partito si era comportato egregiamente, partendo da una posizione di puro outsider. Giovane e preparato, aveva saputo riempire di militanti le sue iniziative pubbliche e fra quei militanti si intravvedeva un alta rappresentanza di “meglio gioventù”. Forse un po’ troppo incline al vezzo della gigioneria espressiva tipico delle persone colte, era stato comunque in grado di contrapporsi sul piano comunicativo alla corazzata Renzi togliendosi anche qualche soddisfazione come durante il confronto a tre (assieme a Gianni Cuperlo) su Sky alla vigilia delle primarie che incoronarono l’attuale segretario.
La questione che si pose al momento del suo strappo è rimasta la stessa ed è tornata prepotentemente di attualità proprio dopo la assemblea nazionale di domenica 18 dicembre: optare per una versione dem del “remain” provando a contrastare e svuotare il renzismo dall’interno, dando per scontare che il partito sia ancora scalabile, o abbracciare la “renxit ” ubbidendo a valori molto vintage come la coerenza e il “fu programma elettorale”, operando così un salto nel vuoto col rischio serio di condannarsi ad uno stato di minorità permanente?
Di fronte ad un congresso congelato, con le anime della minoranza che prima di parlare di quale piattaforma alternativa esprimere, si sono già dilettate ad individuare almeno tre candidati alternativi cadendo nella trappola di contrapporre ad un leader ancora pienamente in sella, un altro leader prima di una visione o un sistema di idee (e ideali) altri, la risposta all’annoso quesito è affermativa: Civati fece bene a suo tempo ad abbandonare la nave.
Affinché però questa scelta che sa ancora molto di personale, cioè di unica risposta plausibile ad un dissidio interiore sintetizzabile nell’interrogativo: ” cosa ci sto a fare qua?”, divenga una scelta per il paese, altruistica e di prospettiva, è tempo per lui di compiere un salto di qualità.
Occorre cioè che il Nostro si candidi, anzi corra, a colmare quel vuoto che Renzi ha creato inseguendo la narrazione che lui stesso aveva confezionato, arrivando ad innamorarsene a tal punto da crederci lui per primo a dispetto di quanto stava accadendo sul suolo patrio.
Possibile è ancora per molti un oggetto misterioso; poco partito, molto movimento, con poche figure di spicco aldilà del suo ideatore, questa novella formazione politica necessita al più presto di una identità che non può non venire da un programma semplice declinato non per punti ma per “azioni”.
Il lavoro prima di tutto. Quel lavoro che da principio fondante di eguaglianza è diventato motore instancabile di disuguaglianza, deve divenire il perno su cui incardinare una idea diversa di cittadinanza e di società.
Si sente un gran bisogno di messaggi chiari su partite come i voucher, gli ammortizzatori sociali, il ruolo sociale delle imprese di questo paese, il mai risolto rapporto fra scuola e occupazione, per non dire della necessità di mettere in campo strategie nuove per settori strategici del nostro paese come cultura e turismo che possono segnare davvero un punto di svolta per la nostra economia.
Renzi ha affermato nella sua relazione che il PD ha perso fra i giovani. Si tratta una affermazione forte per il più giovane presidente del consiglio che la storia repubblicana annoveri. Basterebbe questa ammissione a dare la cifra del fallimento di due sue leggi emblema: la Buona Scuola e il JobsAct.
Possibile deve rivolgersi in primo luogo proprio ai giovani parlando alla loro sfera valoriale e non solo alla loro comprensibilissima rabbia, ma soprattutto deve consegnare loro la responsabilità attiva del cambiamento e non solamente giocare, come fanno altri, ad indicare i responsabili (la casta, il sistema, il passato) della loro mancata realizzazione sociale.
Mentre Nichi Vendola chiude e non brillantemente l’esperienza di SEL, che per un certo periodo costituì il “nuovo a sinistra” potenzialmente capace di trovare un equilibrio fra radicalismo e modernità, mentre Sinistra Italiana pare incapace di nascere come soggetto realmente attrattivo ma rischia di esser vissuta da subito come la classica gauche dello” zero e virgola”, Possibile qualche chance in più per provare a rappresentare un convincente elemento di rottura pare averla, almeno sulla carta.
Il tempo però stringe. I ritmi della politica si sono fatti brevissimi e quel vuoto oggettivo che si percepisce rischia di essere fagocitato da forze politiche che di sinistra hanno ben poco, ma che hanno compreso cinicamente che il malessere fine a se stesso può essere una miniera di voti e consenso, che arrivano in questa fase a prescindere dalla qualità di vie d’uscita che si è capaci di indicare.
Se lasciare (questo partito) democratico fu scelta non solo necessaria per l’uomo, ma anche propedeutica alla nascita di una alternativa innovativa sul piano politico, Pippo Civati ha la possibilità di dimostrarlo adesso. Già domani potrebbe essere tardi.
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