Partiti e politici

o si fa un’altra Europa, o si muore

5 Marzo 2018

E così è successo anche da noi, ci siamo allineati al trend europeo.

Certo, è stato leggermente più traumatico che da altre parti (“solo” 4 anni fa, con il suo 40%, il PD poteva vantarsi di essere il principale partito progressista in Europa), ma alla fine, paradossalmente, oggi siamo diventati un normale Paese UE: trionfano i partiti populisti, diventano sempre più periferici quelli di più lunga tradizione, a sinistra vengono massacrate sia l’ipotesi più o meno socialdemocratica sia tutto ciò che puzzi di logiche ormai vetuste.

Se, come detto, il pienone a destra lo fanno i populismi, anche a sinistra l’unico soggetto che oggi può festeggiare qualcosa, contiene, fin dal suo nome, due sostantivi chiave per capire cosa stia succedendo non da ieri in Italia, ma negli ultimi 30 anni in Europa e in una buona fetta di mondo.

Quello che sta succedendo e che, di volta in volta, viene definito con termini diversi (disuguaglianza economica, disparità sociale, ingiustizia generazionale, impoverimento) è, in ultima analisi, un colossale processo, europeo e globale, di depotenziamento degli “aventi diritto”.

Il depotenziamento, si badi bene, è sia sostanziale (come cittadini, come italiani si è effettivamente perso potere di decisione e intervento rispetto ad ambiti della propria esistenza, si è stati costretti a a una delega a ignoti), sia percepito (sappiamo bene quanto contino le percezioni in politica).

E siamo arrivati a questo punto grazie a trent’anni di decisioni, in gran parte prese a livello UE,  quasi mai sottoposte a scelta popolare (adozione Euro e Fiscal Compact, giusto per citare due piccoli esempi) e accompagnate, soprattutto in Italia, da almeno vent’anni di progressivo aumento, in alcuni casi drammatico, del rischio di povertà e dei livelli di disuguaglianza  (si vedano dati Istat e OCSE a riguardo).

A questa perdita di potere le masse reagiscono con i mezzi che hanno.

Che sia la rivendicazione di essere padroni a casa nostra o della libertà sanitaria sui vaccini, che si tratti dei nostri Salvini e Di Maio o dei loro simili che stanno nascendo come funghi oltralpe od oltremare, poco cambia rispetto all’urlo disperato e rabbioso di intere comunità, popoli, generazioni che si sentono oggi completamente defraudati rispetto alla possibilità di incidere sulle proprie vite, di trasformare la realtà circostante.

Se voti male, ecco che arrivano i mercati a punirti con lo spread.

Un giorno ti alzi ed ecco arrivare una nuova norma UE che ti costringe all’ennesimo salto mortale per adeguare la tua azienda alle nuove, incomprensibili, richieste.

Oppure scopri che la fabbrica in cui lavori si è trasferita in un altro Paese europeo, in parte anche grazie alle tasse che tu hai versato.

Assisti impotente a processi globali che non controlli,  non influenzi, ma che condizionano eccome la tua esistenza. Assisti impotente ai pochi che ce la fanno e ce la fanno sempre meglio, mentre tu arranchi e temi che prima o poi arrivi il tuo turno. Assisti impotente all’arrivo dal mare di altri uomini e donne che percepisci come minacciosi proprio perché sai che la distanza tra di voi è minima.

E’ perfetta l’immagine della provincia dimenticata e piena di rabbia usata da Jacopo Tondelli, solo che oggi è l’Italia tutta a essere diventata provincia dell’Impero o, quanto meno, a sentirsi tale. Non a caso si è alzato alto l’urlo del Meridione in queste Politiche. Non a caso il PD tiene in quei pochi luoghi (sempre meno) dove è più facile percepire gli aspetti positivi della globalizzazione in salsa UE rispetto alle esternalità negative, che siano la Zona 1 di Milano o… l’estero.

E, se queste sono le premesse, è evidente che vengano premiati i partiti che dichiarano, più o meno apertamente, più o meno realmente (poco importa, ormai, nell’elettore) di voler restituire “potere al popolo”, ed è altrettanto ovvio che vengano penalizzati soggetti e figure (da Renzi a D’Alema a Berlusconi) che sono visti come coloro che hanno facilitato, invece di opporsi, questi processi di depotenziamento, ovvero l’ingresso rapido, poco governato, brutale della globalizzazione nei territori e nelle vite.

Se questa analisi contiene un po’ di verità, allora la domanda resta sempre la stessa: che fare, dunque?

Oggi molti sono affezionati a una lettura puramente economica di quanto successo. Certo, tasche e pance vuote contano, ma oggi è difficile pensare che sia sufficiente un aumento della ricchezza e una sua migliore distribuzione per far calare i livelli di frustrazione, rabbia sociale, paura e violenza verso gli altri.

In altre parole, difficile sostituire il lavoro con il reddito di cittadinanza. Con quest’ultimo puoi non avere il problema della quarta settimana, certo, ma è con il primo che definisci la tua identità, modifichi il contesto che ti circonda, costruisci il tuo percorso sociale. Per certi versi, la percezione di un reddito a prescindere potrebbe acuire nei suoi percettori il senso di impotenza e inefficacia di cui sopra.

In altre parole, il PD non ha perso perché si è concentrato solo sui diritti.

Il PD ha perso perché ha dimenticato che un diritto senza il reale potere di essere esercitato non fa che trasformarsi nell’ennesima occasione di disuguaglianza (il tema dell’ingiustizia generazionale è oggi emblematico su questo punto) e, dunque, di violenza sociale. Che, come ha scritto qualcuno, prima ancora del diritto a una buona morte, pur sacrosanto, esiste un diritto alla buona vita.

In un momento in cui prevalgono terribili approcci (dalla coltivazione del proprio minuscolo giardino all’assistere sulla riva del fiume…) e un generale smarrimento rispetto a compiti, obiettivi, senso per la sinistra, forse compiti, obiettivi, ragione sociale restano anche oggi, con ancora più forza che in passato, in Italia e soprattutto in Europa, gli stessi di sempre: dare voce e spazio e potere di azione e trasformazione alle donne e agli uomini di questo tempo.

Questo compito, al di là delle parole spot tipo Stati Uniti d’Europa che oggi lasciano davvero il tempo che trovano, non può che essere oggi un compito europeo, in almeno due sensi: si deve provare a cambiare (e profondamente) questa Europa e l’unico modo possibile oggi sembra essere quello di costruire reali connessioni e alleanze con le altre sinistre d’Europa che si sono già mosse da tempo in questa direzione.

 

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