Partiti e politici

Nostra passione della politica (sepolta per il Pd, non nascerà nei 5 Stelle)

1 Luglio 2016

Nel giorno in cui si celebra ufficialmente il doppio sorpasso Cinque Stelle ai danni del Pd – come partito e come gradimento personale tra Di Maio e Renzi – si dovrebbe coerentemente celebrare anche il funerale della politica. Almeno per come l’abbiamo conosciuta quando – ragazzi – si pensava “semplicemente” di cambiare il mondo. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 ci si era posto questo obiettivo irrealizzabile, ancorché ideale e dunque assolutamente politico. Pensate che ancora oggi sopravvive un dibattito neppure tanto laterale se quegli anni lo abbiano almeno migliorato, il mondo, e le risposte non sono affatto concordanti. Ma sulla passione politica e per la politica di quel tempo nessuno potrebbe avanzare un soldo di dubbio, ne eravamo pieni, ci usciva dalle tasche. Eravamo ricchi.

Con i Cinque Stelle sul tetto d’Italia, almeno secondo la proiezione a cui Repubblica dà l’onore del titolone di prima, dovremmo interrogarci su un punto centrale: possiamo considerare la politica ancora parte della nostra società? La politica intesa certamente come bene comune, ma poi rimodellata a intimità personale, a una prospettiva piuttosto che a un’altra, insomma a una posizione che identifichi e soprattutto semplifichi il nostro stato d’animo del momento: sei di centrodestra o di centrosinistra? Beppe Grillo è riuscito in una operazione straordinaria, esattamente smantellare quell’assunto della politica, che vuole prima esibita una posizione geografica sul tappeto e soltanto dopo la lista delle cose da fare, delle priorità, delle sensibilità. L’ultima tornata delle amministrative lo ha definito in modo compiuto, al punto che nessun elettore, all’interno dei trionfi grillini, avrebbe potuto esibire un posizionamento personale, se non nel riconoscimento pieno e completo di una disaffezione per quel “vecchio” modo di fare politica. Depurata la questione dalle ideologie classiche, il destro e il sinistro convergono serenamente su Grillo che li aspetta a braccia aperte.

Per che cosa dobbiamo batterci dunque, perché la politica torni a essere la sintesi  di istanze diverse che poi un partito rappresenterà nelle sedi deputate, o dobbiamo rafforzarci nella convinzione che le questioni ormai si risolvono senza più il sentimento dirigista di un partito classico, ma con la convinzione che mettersi sulla zattera dei Cinque Stelle ti garantirà almeno un viaggio avventuroso, pieno di insidie, idealmente votato a “cambiare” qualcosa? Il paradosso è che quel sentimento molto disordinato, ma irruento ed entusiasta, che coinvolgeva noi ragazzi di quell’epoca, oggi si specchia in un Movimento certamente molto diverso, ma sufficientemente fresco e generazionalmente arrogante come lo eravamo noi. La vera differenza è che noi volevamo stare “fuori”, mentre loro hanno deciso l’operazione più complicata e forse anche discutibile: stare “dentro”.

I partiti tradizionali vivono una grande difficoltà. Si dovrebbe dire “il” partito tradizionale, essendo rimasto solo il Pd nella conformazione classica dell’organizzazione politica (segreteria, sezioni, organismi, commissari, subcommissari, correnti, donazioni ecc, ecc.). Il Partito Democratico non ha strumenti adeguati per battersi alla pari con i Cinque Stelle, governa e questo è un primo problema, mentre gli altri giocano di sponda, sembra un pachiderma nei suoi movimenti anche se ha il segretario più smart della storia, ha più di sempre le interiora correntizie, e per un autentico paradosso della storia non sembra interessarsi più di tanto alle persone in sofferenza, agli ultimi (se poi gli altri propongono con evidente leggerezza il reddito di cittadinanza, sei fritto).

Tornando alla passione. Alla meravigliosa passione per la politica. Si può vivere questo sentimento pensando al Movimento Cinque Stelle? Ci piacerebbe fosse così, per i tanti che lo votano e che ci credono, ma abbiamo il timore che sia quasi impossibile. Non tanto per una mancanza di valori, questo no, o per il tradimento dei medesimi. Questa, semmai, è questione che riguarda il Pd di Matteo Renzi. Ma per un altro elemento altrettanto fondamentale che è poi la condivisione. Il vicino di casa, il compagno di banco, il condomino del pianerottolo di fronte. Che magari consideravi un mezzo fascista sino al giorno del voto e poi te sei ritrovato grillino e festante a festeggiare con te. No, è un rischio che davvero non si può correre, che il cuore non reggerebbe, che non ti farà mai “appartenere” interamente a una meravigliosa avventura com’è certamente quella dei Cinque Stelle. A meno, forse, che tu sia un attivista del Movimento, e allora in questo caso estraneo per definizione alle storie, alle sensibilità, ai punti distintivi dell’essere di destra o di sinistra. E poi, per essere chiari: quel progettino mezzo demenziale mezzo furbo del partito della nazione di Renzi, se lo sono presi i grillini che si sono fatti votare da tutti. Tiè. (Salvo non votare loro, i fascisti salviniani, quando si è trattato del ballottaggio milanese).
Resterebbe il Pd per appassionarsi. Ma come vedete è l’ultima riga del pezzo.

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