Partiti e politici
Non è serio spacciare per fake questa roba da decerebrati
Sembra un secolo fa, ma in realtà ne è “solo” un quarto – si era tra la fine del ’93 e l’inizio del ’94 – quando in Italia si innestò l’appassionante dibattito sulla capacità tele-coercitiva del cavalier Berlusconi, rispetto alle elezioni che lo avrebbero portato per la prima volta al trionfo nazional popolare. Quel dibattito, che rispetto alle fake di oggi pare un cenacolo letterario, si sviluppò sull’ipotesi che un uso “sapiente” della televisione – e dell’informazione in essa ricompresa – potesse spostare il consenso dei cittadini, sino a modicare in maniera surrettizia l’esito elettorale. Episodio illuminante fu il primo, vero, endorsement familista sotto le affettuose spoglie dei migliori volti-tv delle emittenti berlusconiane (Sandra&Raimondo, Mike, ecc.), che cedettero parte della loro credibilità indicando «l’amico Silvio che nella vita ha fatto solo del bene» come colui che avrebbe reso il Paese molto, molto, migliore, di quanto fosse in quel momento. Da quel dibattito e da quella vittoria, scaturì l’infinito tentativo italico di dare dei contorni vagamente dignitosi al famigerato conflitto di interessi. Come è finita la questione, sapete bene.
A distanza di un quarto di secolo, gli autorevoli amici del New York Times lanciano per l’Italia un nuovo allarme sociale, che potrebbe riverberarsi sulle tanto attese elezioni nazionali di primavera 2018. Sul nostro paese, raccontano, potrebbe abbattersi quel flagello social, sotto forma di fake-news, in grado di spostare i delicatissimi equilibri politici: «Come già successo negli Usa, in Francia, in Germania e per la Brexit – scrivono sul sito – anche in Italia la tornata elettorale potrebbe essere falsata dalla propaganda incentrata sulla disinformazione». E da cosa muoverebbe il timore di uno dei più grandi quotidiani del mondo? Dalla pubblicazione di un “tarocco” spudorato, costruito in Rete, che offre al pubblico non pagante dei social l’immagine che potete agevolmente apprezzare anche nella nostra foto: un finto funerale di Totò Riina, al quale partecipano alcune autorità istituzionali, come Boldrini e Boschi, e altri parlamentari dem come, ad esempio, David Sassoli che è in prima fila. La frase a caratteri cubitali che accompagna la foto recita: «Guardate chi c’era a dare l’ultimo saluto a Totò Riina?». Personalmente, ho subito sorriso vedendo il mio vecchio amico David Sassoli al primo banco della chiesa dove si stava svolgendo questa fantomatica celebrazione religiosa. Ma non mi è passato neppure per l’anticamera del cervello di considerare quell’improbabile accrocco fotografico come una fake che potesse spostare alcunchè (nè le convinzioni, nè tanto meno il consenso). Piuttosto un congegnino da terza elementari per decerebrati. Immagino avranno sorriso (credo amaramente) anche tutti gli amici e conoscenti di Meb e di Boldrini, attribuendo zero pervasività a una superminchiata come quella. Solo che Maria Elena Boschi ci ha costruito sopra un post super indignato, di peso straordinariamente sproporzionato rispetto persino alla speranza del cretino inventore di poter innervosire il potente di turno. Eviterò poi di sottolineare troppo un particolare che ai miei occhi si è rivelato decisivo per farmi subito una risata: il punto di domanda alla fine di un concetto così assertivo poneva già tutta la questione sotto una nuvola di ridicolezza.
Dunque, secondo queste autorevolissime fonti saremmo così sbandati come livello medio intellettuale che simili pirlate avrebbero la capacità di rimodellare il nostro consenso elettorale. Ce lo dice il New York Times e ce lo ripete da mesi anche il segretario del Partito Democratico, che proprio ieri ha costruito su questo non-argomento il corpo del suo intervento alla Leopolda. Citando vari episodi, ha inserito, appunto, la foto del funerale di Totò Riina (che peraltro non si è mai svolto, era il funerale di Emmanuel Chidi Namdi, ucciso dai razzisti), poi un suo giretto in Lamborghini che qualcuno ha rimodellato in sgavazzo motoristico in quel di Ibiza, infine uno scambio di amorosi sensi calcistici con Putin spostato nel tempo a uso e consumo della nostra elimazione dai Mondiali russi. Capirete che, se il livello della discussione è questo, ciò che accadde davvero un quarto di secolo fa e che riguardava le televisione del Cavaliere, al confronto è di una profondità senza pari. Allora c’era molta materia di discussione e gli elementi per dividersi vertevano su ciò che la televisione potesse costituire per ognuno di noi, sulla “necessità” per ognuno di noi di averci a che fare, sulla sua indispensabilità, sul fatto, socialmente storico e rilevante, che “lo ha detto la televisione”, sull’uso dell’informazione applicato al mezzo. Insomma, portata storica almeno. E nessuno, si badi bene, vuole sminuire qui la portata altrettanto storica dei social, ma come sempre sono gli strumenti a determinarne la fondatezza e la potenza. E se gli strumenti son quelli che ci illustrano Matteo Renzi e il New York Times siamo davvero nei pressi del ridicolo.
Ps. Tutto questo, non ci esime dal valutare serenamente quella pletora di “collaboratori” Cinquestelle che invadono i social di questa robetta-robaccia senza senso come cazzoni in servizio permanente effettivo. Ma, se permettete, Sandra&Raimondo, Mike, e tutti i nostri eroi erano proprio un’altra storia.
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