Partiti e politici
Non è ancora tempo per la sinistra, in Lombardia
Manca poco più di un mese alla consultazione regionale di Lombardia e Lazio e, come sempre, prima della competizione vera e propria scende in campo quella demoscopica. A colpi di sondaggio, si cerca da una parte o dall’altra di indirizzare in maniera più precisa le scelte degli elettori, prefigurando i possibili scenari in cui i cittadini lombardi dovrebbero inserire il proprio voto.
E allora, se in uno scenario il distacco tra i candidati di centro-destra e centro-sinistra appare contenuto, nell’ordine di 4-5 punti, l’appello al voto utile, per chi voterebbe una terza forza, diviene maggiormente pressante, per far pendere la bilancia verso uno dei due candidati in pole-position. Se invece il distacco, in un differente scenario, sembra essere molto maggiore, l’appello di dirige verso i probabili astensionisti, per convincerli a prendere parte alla consultazione, per cambiare radicalmente il risultato finale, in soccorso per il candidato perdente.
Ma qual è il reale stato delle cose? Intanto, bisogna ricordare come in Lombardia, da quando si vota direttamente per il Presidente, ha sempre vinto (e spesso trionfato) il candidato scelto dalla coalizione di centro-destra (Formigoni, per 4 volte, Maroni e Fontana). Con distacchi dal suo avversario compresi da un minimo di 5 punti, nella sfida Maroni-Ambrosoli del 2013 (quando in molti avevano scommesso sulla vittoria del centro-sinistra, dopo le dimissioni di Formigoni coinvolto in grossi guai giudiziari), ad un massimo di oltre 30 punti (Formigoni-Martinazzoli, nel 2000).
Vittorie che sono apparse molto spesso indipendenti dal clima politico-elettorale che si manifestava nel resto del paese; anche quando l’Ulivo di Prodi navigava con il vento in poppa, come ad esempio nel 2005, la Lombardia andava in altra direzione, alla stregua del Veneto, indifferenti a ciò che capitava altrove: il vento del lombardo-veneto pare da 30 anni a questa parte assolutamente immutabile, spirando costantemente nella stessa direzione, indifferente da quanto accade attorno a sé e, a volte, indifferente perfino alla valutazione razionale dell’operato delle giunte che si sono succedute. Si vota centro-destra, e stop.
Se il dato politico, anche quando è favorevole al centro-sinistra, sembra dunque non contare molto nella scelta degli elettori lombardi, figuriamoci cosa accade quando questo è invece favorevole alla stessa parte politica dei presidenti uscenti. Alle scorse elezioni legislative, il voto lombardo ha premiato come noto ancor di più la coalizione di Meloni (quasi il 51% di consensi, 7 punti in più rispetto al resto d’Italia), con il centro-sinistra scelto da uno striminzito 26%, un distacco dunque di 15 punti percentuali, con il Movimento 5 stelle al 7% circa e il cosiddetto terzo polo al 10%.
È importante ricordare questi dati, perché nonostante la ormai nota volatilità elettorale che i cittadini specialmente italiani manifestano negli ultimi anni, in elezioni che giungono così a stretto contatto con le precedenti appare piuttosto difficoltoso che si verifichino importanti terremoti dal punto di vista delle scelte di voto. Certo, la presenza di una “fuoriuscita” dalla coalizione di centro-destra come Letizia Moratti spariglia un poco le carte, ma non certo in maniera così decisiva, considerando che la sua candidatura viene proposta proprio dal duo Calenda-Renzi, e non si è verificato, se non in minima parte, una scelta a suo favore proveniente dalle file dei suoi precedenti partiti di riferimento, in particolare Forza Italia.
Dunque, la griglia di partenza, se i lombardi votassero in questa occasione come nelle recenti politiche, sarebbe la seguente: Fontana al 51%, Majorino al 31%, Moratti al 10%. Affinché Majorino possa vincere, Fontana deve perdere dunque nei suoi confronti almeno il 20 per cento dei voti che avrebbe in dotazione dal voto legislativo. Possibile? Certo, soprattutto per la presenza di Moratti, che rappresenta di fatto una costola del centro-destra da numerosi decenni, sia a livello nazionale (ministro per l’Istruzione) che a livello milanese (sindaca) che a quello lombardo (vice-presidente). Per compiersi il “miracolo” per il centro-sinistra, 20 elettori su cento che avevano votato la coalizione di Meloni devono andare su Letizia Moratti. In questo caso, tutti e tre i contendenti sarebbero accreditati di circa il 30% di consensi, con una competizione altamente aperta a qualsiasi risultato. Possibile sì, ma non certo molto probabile, anzi quasi per nulla probabile, a meno di un qualche evento particolare.
Se questo è il quadro teorico, anche quello empirico desunto dai sondaggi più accreditati non si discosta molto da quanto potrebbe accadere: una quota significativa di elettori di centro-destra (diciamo il 7-8%) in appoggio comunque a Moratti e una buona tenuta della coalizione di centro-sinistra, rinforzata dagli elettori del Movimento 5 stelle, in appoggio a Majorino.
Risultato? Fontana al 43-44%, Majorino al 34-35%, Moratti al 18-19%.
Università degli Studi di Milano
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