Partiti e politici
Non chiedete a Elly Schlein quel che ancora non vi può dare
Succede così nel mondo del calcio: quando una squadra non rende abbastanza e ottiene per troppo tempo risultati piuttosto negativi, si cerca di correre ai ripari per invertire una tendenza deficitaria, che comporta spesso anche un allontanamento dei tifosi, con un calo significativo di chi si reca allo stadio e del numero di tifosi.
Tra le cose possibili, qual è quella più “semplice” da fare? Cambiare i giocatori non pare un’ipotesi da prendere in considerazione, troppo dispendiosa e con infiniti margini di insicurezza, oltre alla scarsa disponibilità del mercato. Si ricorre allora al cambio di allenatore, addebitandogli colpe che potrebbe avere oppure anche non avere. Ma il vero scopo è quello di provocare una rottura, una improvvisa scossa che potrebbe determinare, si spera, un diverso e più profondo impegno da parte dei giocatori e, nel contempo, un nuovo richiamo nei confronti degli elettori, pardon, dei tifosi, un nuovo punto di svolta positivo.
A volte questo repentino mutamento riesce nell’intento: la squadra cambia registro di gioco, cambia schema, prende nuove iniziative sotto il suggerimento dell’allenatore. Per qualche settimana la cosa funziona e il partito, pardon, la squadra infila qualche risultato positivo, e tira un’aria un po’ di cambiamento. Poi però le cose riprendono il precedente andazzo, non esattamente certo, ma in maniera abbastanza simile. In fondo, gli altri leader del partito, pardon, i giocatori sono ancora gli stessi, e gli schemi, le nuove parole d’ordine stentano a venir immediatamente assimilate da tutti e da tutte; qualche dirigente, pardon, qualche giocatore viene sostituito da altri più vicini al nuovo allenatore ma poi, alla fine, i cambiamenti che verranno hanno bisogno di più tempo per essere interiorizzati e compresi anche dagli elettori, pardon, dai tifosi. Che si riavvicinano, ma continuano ad avere dubbi sui reali cambiamenti di prospettiva, sulle parole d’ordine più opportune, quelle da utilizzare per l’assetto futuro della squadra.
Insomma: ci vuole tempo, per cambiare il tipo di gioco di un team sportivo, così come ci vuole un po’ di tempo per mutare le strategie politiche, le parole d’ordine di riferimento, le corrette modalità del fare opposizione, il coinvolgimento e l’approvazione dei dirigenti centrali e di quelli sparsi sul territorio.
Non chiedete ad un allenatore di effettuare una decisa rivoluzione nel giro di qualche mese; è un’impresa lunga e complessa, e ha bisogno di almeno un paio d’anni, non di meno. Così, non chiedetelo nemmeno ad Elly Schlein. Spronatela, certo, se siete dalla parte del Partito Democratico, ma senza pensare di cambiare ancora una volta l’allenatore, ricominciando di nuovo tutto daccapo.
Università degli Studi di Milano
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