Partiti e politici
Non c’è più popolo nel Pd, solo sofferente parcheggio
Tra lo streaming opportunamente offerto dal Facebook live del Pd e i servizi dei vari telegiornali, ci siamo potuti rendere conto della platea che affollava il teatro Eliseo per un genetliaco di portata (quasi) storica come il decennale del partito. Le immagini non facevano troppi sconti e ragionavano in base a età, al nulla da fare di quel sabato mattina, alle porzioni di passione sopravvissute alle macerie di questi anni. Era, malinconicamente, una platea semimesozoica di anziani e a suggello culturale dell’infinita pazienza dell’anziano sembrava di scorgere persino Eugenio Scalfari intorno alla quindicesima fila (posto esterno, che noi anziani abbiamo le nostre necessità). E la domanda veniva candida: ma per il compleanno del fanciullo ci solo solo i nonni e le nonne? Ma i compagni di classe, i genitori, gli amici dei compagni di classe e dei genitori dove sono? Dove sono costoro, dov’è tutto questo benedetto popolo (“il vero padrone del Pd”) di cui poi avrebbe parlato Renzi nel corso del suo dotto e appassionato intervento? Ma i millennials, gli smanettatori seriali, i feticisti di Netflix, i calciofili onanisti, i birrafondai, ma dove si era rintanato tutto questo popolo, possibile che neppure un’anima bella, anche passando per caso fuori dal teatro, avesse sentito l’esigenza di entrare e sentire che lì, in quel luogo magico, si stava immaginando il futuro di quelle stesse generazioni? Una piccola nota ultramalinconica: stava lì anche il più anziano di tutti noi, il meno fresco, il sempiterno Walter Veltroni, che si è ridotto a un Primo Carnera portato in giro dagli impresari del Pd quando c’è da fare piccola cassa, da raccattare qualche contante per le spese, da rassicurare le nostre fragilità, a (ri)vederci com’eravamo giovani. Qualche vecchio del bosco come Goffredo De Marchis di Repubblica, esperto molto più di me e meno ingenuo soprattutto, mi racconta tra il serio e il faceto di una manovra avvolgente del partito, che punterebbe a un passaggio prossimo, per Veltroni, magari come presidente di Camera o Senato e poi al bersaglio grosso del Quirinale, e che sarebbe spinto non da autentica “vocazione maggioritaria” di fondativa memoria, ma dal fatto, ai nostri occhi davvero minimo, che probabilmente si candiderà D’Alema, il suo grande, acerrimo, nemico, e allora ci dovrà essere anche lui, sovrastandolo ovviamente. Pensate che tenerezza.
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Insomma, se tutto l’intervento di Renzi era puntato sull’orgoglio di un “popolo”, un popolo di appassionati dilettanti che salva dalle acque i professionisti come a Dunkerque, si dovrà amaramente concludere che questo popolo non esiste. Non esiste per come dev’esssere armonico e organico un popolo che fa riferimento a valori certi e condivisi, a battaglie sociali di alto profilo, a riferimenti culturali, a istantanee della storia. Forse, da questo punto di vista, non esiste più alcun popolo in Italia. Si va in ordine sparso, per suggestioni del momento, menopeggismo, o peggio, interessi personali. L’ultimo popolo vero, costruito e affinato in laboratorio come i Borzov della grande madre Russia, è stato quello di Forza Italia, orgoglioso di urlarsi berlusconiano sino allo sfinimento, in nome di una rivoluzione liberale sempre attesa e mai arrivata, sino alle sentenze ultradefinitive, superando le draghesse, ahinoi riproposte a breve da un altro anziano del cinema come Sorrentino in cerca di idee.
Perchè il Partito Democratico non riesca più a farsi popolo, sebbene con numeri ancora ragguardevoli, non è poi così difficile da capire. I sentimenti, le passioni, soprattutto quelle travolgenti, te le trasferisce il leader, te le inietta, è un virus terribile a cui non potrai più sottrarti. Qualche anno fa, un bravissimo medico mi confidò che aveva scelto quella branca della medicina molto particolare perché era rimasto affascinato dalle lezioni del suo professore universitario. Ah, la scuola! Cosa c’è di più straordinario quando un professore riesce ad appassionarti, a incuriosirti di una certa materia, a lasciar perdere magari i libri più tradizionali per battere strade diverse e inconsuete? Fate pure la trasposizione politica e con il massimo della serenità di cui disponete, confessatevi a quali entusiasmi vi ha portato Matteo Renzi nel corso della sua storia. Quella della rottamazione senza dubbio, quanto ci ha fatto battere il cuore quel ragazzetto toscano irriverente, un Michelaccio direbbero da quelle parti, che voleva spazzare via tutti i dalemoni della storia, che per decenni avevano cristallizzato i nostri entusiasmi, di noi che volevamo semplicemente cambiare il mondo e invece si ritrovava nulla tra le mani. Ha fatto la fine di Stella&Rizzo quel Renzi lì, si è fatto unicamente portavoce di un’anticasta, ne ha utilmente incassato i dividendi, e poi, non sapendo come innovare quella piccola rivoluzione, ha lasciato che i medesimi riprendessero forma, da pupazzi inanimati ch’erano a vere e proprie glorie di un paese per vecchi. E (ri)eccolo lì, D’Alema con tutti gli altri, arzillo più del suo cane.
E sotto la rottamazione niente? Poco, purtroppo. Un’aroma di diritti civili, sempre da temperare con l’oltretevere, nessun attacco ai cartelli, per la cui la concorrenza rimane un sogno, l’idea che gli amici sono meglio dei bravi professionisti, dei bonus controversi alcuni dei quali soddisfacenti, la scuola negativa, ma soprattutto l’idea di una continua tensione come unico alimento per sopravvivere. E poi l’altra questioncella non di pococonto: il sembrare di sinistra, oltre che esserlo. Perchè non vi appaia come un paradosso, ma sembrare è essere. E se Matteo Renzi sembrasse un uomo di sinistra, vero, consapevole, profondo, lo sarebbe anche.
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Ecco, perché un popolo del Partito Democratico non esiste, se mai c’è stato. Ci sono persone che pensano, mangiano, lavorano, soffrono, sorridono. E ogni tanto votano.
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