Partiti e politici

No, al renzismo non c’è alternativa (non su base rancorosa almeno)

19 Dicembre 2016

Alla fine, dovresti convenire che una via d’uscita al renzismo – ammesso che il renzismo ti disturbi la digestione – non c’è. Perché nelle buone organizzazioni di partito accade il migliore dei fatti possibili, e cioè che gli oppositori del leader assumono piena consapevolezza della sua (momentanea?) superiorità politica. Che ovviamente non sta solo nei numeri. In questo modo cosciente gli oppositori possono immaginare di disarcionare il cavaliere non su base rancorosa. Tutto quello che nel Partito Democratico non succede.

È forse il motivo più evidente per cui l’attuale segretario vive la sua incontrastata condizione di mazziere anche dopo aver preso una sberla epocale, come quella che lo ha portato sotto di venti punti nel referendum più decisivo della sua storia. La domanda che ne scaturisce è una sola: c’è qualcuno oggi nel Partito Democratico che agisce, si muove, parla, non su base rancorosa? Se c’è, i cittadini appassionati di sinistra non hanno potuto ancora apprezzarne la serenità. Soprattutto, sin qui non hanno avuto una guida di riferimento che abbia potuto educarli al confronto delle idee, a un’altra strada possibile, persino all’eretica (e per molti offensiva) possibilità che con Renzi si possa dialogare (e allearsi se si è esterni al Pd). Sino a che le cose staranno in questi termini, l’ex presidente del Consiglio sarà l’unico a poter dare le carte.

Abbiamo scritto molte volte dell’enorme distanza tra i meccanismi che animano la vita del Partito Democratico e le dinamiche che muovono le nostre vite di poveri elettori, di noi cittadini che delle fumisterie di partito non sapremmo che farcene. Basterebbe, per definirla tragicamente, costringere gruppi di cittadini a sadiche sedute di analisi in cui proiettare direzioni, assembleee, congressi di partito e vedere l’effetto che fa. Anche ieri l’assemblea che doveva scenograficamente rappresentare l’autocoscienza collettiva post-referendaria si è risolta in un’atmosfera felliniana, in cui il domatore – Darix Renzi – schioccava la frusta nel suo circo senza più leoni e tutti i bambini applaudivano leccando avidamente lo zucchero filato distribuito all’entrata. Si ripeteva meccanicamente il copione delle ultime kermesse, quando il Capo per declinare le sue colpe, enormi a suo dire per la sconfitta tremenda, assume invece il tono sprezzante del trionfo e allora davvero, se non hai una vera certificazione zen, ti viene da dire: ma questo ci fa o ci è? Ma sull’incazzatura degli altri, sulla mancanza di serenità, sulla rabbia che ti monta appena lo ascolti, Matteo Renzi ha costruito parte del suo successo. Sul non avere competitor sereni, sull’essere acclaratamente il miglior narratore di questa epoca social, anche un po’ smortaccina.

Ma allora, cari ragazzi di sinistra, detto che su questa narrazione il segretario è il migliore di tutti voi, vogliamo andare alla ricerca di qualche personalità che della serenità, di una certa autorevolezza riconosciuta, di una riconosciuta disobbedienza a un certo apparato, abbia costruito un tratto distintivo del suo percorso politico? Il caso Pisapia da questo punto di vista ha del clamoroso. Messo in croce per un semplice, quanto ingenuo, motivo: perchè non si è proposto come alternativa a Renzi, ma “solo” come possibile alleato non organico al Pd. Perché ha lanciato il suo «Campo Progressista» come ponte e non come bazooka. Perché voi immaginate soltanto qualcuno che abbatta il cavaliere e non ci dialoghi neppure, che dica apertamente: ti sfiderò al congresso, caro Matteo Renzi, e ti batterò. Questo cavaliere elettrico, cari ragazzi, è bene sapere che adesso non c’è e non appare neppure all’orizzonte. Non almeno nel tempo che ci separa dalle prossime, ravvicinate, elezioni. C’è Speranza, perfetto, qualcuno può davvero fantasticare di un suo possibile successo, un ragazzo perbene senza una storia, un appeal (quello davvero no), senza troppa profondità e con qualche rancore di troppo? (Certo, un modesto favore di considerazione gliel’ha fatto comunque quel piccolo tardo-katanga di Giachetti, che nella finzione cinematografica del renzismo ne è omologatissimo comprimario). E per pietà, lasciamo perdere i possibili ticket con Emiliano, quello delle cozze pelose nella vasca di casa. Ma per tornare a Pisapia ancora per un attimo. Il mix di questo avvocato che un giorno tutto solo sfidò il Pd è ciò che serve per togliere alla sinistra particelle di renzismo: un borghese che anche in un tempo pre-politico sapeva degli ultimi, che manteneva grandi rapporti professionali e sociali con certe classi sociali (uno dei suoi clienti di studio è storicamente l’ingegner De Benedetti), e che poi nell’agone politico si è mosso con autorevolezza pur con le sue scontrosità. (Per dire: Sala neppure è partito e siamo già in un mezzo casino). Pisapia sa benissimo, e neppure lo vuole, che Renzi non è il suo avversario, può forse fantasticare di sostituirlo un giorno ma le carte processuali oggi parlano chiaro: ci si può confrontare, alleare, allargando il consenso a sinistra. E cinicamente proprio a Renzi converrebbe un’alleanza di questo tipo, di un tipo decente e dignitoso per capirci. Sarebbe la sua ipoteca sul futuro. Pisapia sostituirebbe Verdini, Alfano, quella roba lì. Non è poco.

Dire che al renzismo oggi non c’è alternativa non è una cattiveria politica ma solo la necessaria certificazione dell’esistente. Superare il rancore, questo l’obiettivo molto lusinghiero per il 2017 che dovrebbe unire chi non lo ama. Vedremo chi ci riuscirà.

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