Partiti e politici
Nelle periferie spira forte il vento di destra
Pareva ormai tutto in discesa, per la coalizione di opposizione, dopo la (peraltro risicata) vittoria in Sardegna. Pareva che il vento fosse cambiato, in poche settimane. O almeno così si auguravano i protagonisti del cosiddetto campo largo, o larghissimo, che comprendeva tutte le forze politiche contrarie a Giorgia Meloni. Una sorta di riedizione dell’antico fronte “anti-berlusconiano” dei primi anni di questo secolo. Ricordate la coalizione di Prodi del 2006? Da Bertinotti a Mastella, passando per i Democratici di Sinistra e la Margherita, tutti uniti per sconfiggere il grande Silvio. Allora ci riuscì, per una manciata di voti, così come è accaduto un mesetto fa in Sardegna. Ma poi le contraddizioni interne fecero naufragare un’intesa soltanto tattica, senza profondità.
Ora che addirittura la vittoria non c’è stata c’è il rischio opposto, quello di arrivare a conclusioni negative piuttosto affrettate. Come dopo il risultato sardo era prematuro cantare vittoria, così in questa occasione è prematuro archiviare immediatamente questa alleanza, perché le alleanze hanno bisogno di un progetto convincente per affermarsi. Il centrosinistra, il campo progressista, ha un grande asso nella manica ed è il patrimonio inespresso dell’astensionismo. L’affluenza a questo giro è stata solo del 52,2%, la più bassa di sempre nella regione. La soluzione vera per il “campo largo” non può prescindere da una proposta alternativa credibile, con la quale riportare alle urne chi non vota più. E a questo bisogna crederci, puntando su una fattiva collaborazione di più lunga durata.
Una sconfitta che è maturata negli ambienti e nei territori ormai ben noti a tutti gli analisti: le periferie. Da questo punto di vista, i dati abruzzesi hanno quasi dell’incredibile, per come evidenziano senza alcuna ombra di dubbio questa realtà. In provincia de L’Aquila, ad esempio, il distacco medio tra i due candidati (Marsilio per il centro-destra e D’Amico per il centro-sinistra) è stato di circa 22 punti percentuali, ovviamente a favore del primo.
Ora, mentre nella città-capoluogo il gap è stato contenuto, poco meno della media regionale (5 punti), nel resto dei comuni, in tutti i restanti 107 piccoli o piccolissimi comuni della periferia aquilana, il distacco tra i due contendenti è risultato attorno ai 30 punti, 65% per Marsilio contro il 35% per D’Amico: un abisso, con pochissime eccezioni.
Tutto questo mentre nelle altre grandi città, a Pescara e a Teramo, il successo è arriso al centro-sinistra e a Chieti, l’ultimo capoluogo di provincia, la contesa ha dato un sostanziale pareggio.
Il trend è ormai palese ed evidente in ogni luogo e in ogni occasione. In Italia o all’estero, nelle consultazioni amministrative o in quelle politiche: più ci si allontana dalle città, dai grandi centri urbani, più il voto tende ad essere appannaggio della centro-destra o della destra più estrema. E al contrario, nelle città relativamente più popolose rispetto alle sue periferie, sono favorite le forze politiche o i candidati progressisti, che siano in Sardegna o in Abruzzo, in Italia o in Portogallo o, come vedremo tra qualche mese, negli Stati Uniti. Dovunque si va a votare, la legge ferrea dello scontro centro/periferia determina il risultato elettorale. È nei piccoli centri, nelle periferie urbane, nei tanti comuni e paesi della nostra penisola che deve andare la sinistra, per poter pensare di rivincere le future competizioni.
Università degli Studi di Milano
Accade come negli USA, nei quali le zone rurali dove il livello culturale medio è basso sono facili prede della propaganda conservatrice contro gli immigrati ed i gay, lo stato oppressore et cetera, nella quale sguazza Trump e da noi meloni/salvini