Partiti e politici

Nella vita, come nello sport, si può perdere senza essere perdenti

30 Settembre 2015

Sono una persona abbastanza realista, e quando a inizio estate tra i Civatiani unitisi a Possibile si iniziò a parlare di referendum io espressi con fermezza il mio parere contrario. Arrivai anche ad affermare che non avrei passato un minuto del mio tempo a raccogliere firme.

Per me era infatti ovvio che non saremmo riusciti a raggiungere l’obiettivo delle 500 mila firme per svariate e fondate ragioni: per le difficoltà burocratiche (e qui potremmo aprire un dibattito su quanto nei fatti esista davvero lo strumento di democrazia diretta in questo paese), per la ristrettezza dei tempi e la scarsità numerica delle risorse umane (Possibile è nato ufficialmente il 21 giugno 2015) e per la ovvia ostilità dei media che non ci avrebbero certo regalato titoli in prima pagina ed ospitate nei talk show più conosciuti.

Questo si aggiungeva ad un mio rifiuto aprioristico per lo strumento referendario dovuto forse ad un’educazione al rispetto della democrazia rappresentativa e ad un timore ad affrontare nel dettaglio temi tecnici nelle piazze e per le strade.

Poi, per un senso di appartenenza, per rispetto verso chi ci si stava dedicando anima e corpo e perché mi piace stare in mezzo alla gente, al rientro delle vacanze, mi sono unita alla combriccola dei raccoglitori di firme.

Ho scelto di partecipare anche io anche io alla più grande mobilitazione popolare del 2015 e mi si è aperto un mondo. Ho scoperto che c’è voglia di partecipazione tra la gente,  che se ci si impegna si riesce a spiegare a tutti quali sono i problemi dei capilista bloccati oppure quelli connessi alle grandi opere. Che alla fine le persone vengono a cercarti e si mette ordinatamente in fila per mettere il proprio nome sotto la tua proposta. Che i dibattiti sul futuro della sinistra interessano solo ai dirigenti dei moribondi partiti della sinistra mentre ai cittadini elettori interessa cosa si prova a fare per cambiare quello che non va. Che c’è un vuoto, che la partecipazione non è stata annientata dalla disintermediazione e che se le iscrizioni ai partiti tradizionali diminuiscono forse è colpa dei partiti e non dei cittadini. Ho visto che c’è uno spazio enorme, che non si domanda neanche se sta a sinistra o sopra il PD, e che è occupato molto male dal M5S che alla fine non riesce ad influire su niente per tutte le ragioni che non sta a me analizzare.

Quindi abbiamo perso sì, non abbiamo raccolto abbastanza firme ma abbiamo imparato un sacco di cose e ora sappiamo che c’è spazio per un nuovo movimento politico che non urli alla pancia della gente e che non abbia paura a mischiarsi e contaminarsi con le persone normali che vivono e pensano lontano dal palazzo. Abbiamo gettato il cuore oltre l’ostacolo, ci siamo divertiti e abbiamo faticato. Ma se sapremo fare tesoro di quello che abbiamo visto e imparato, come diceva quello là: the best is yet to come.

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