Partiti e politici
Nel mondo si parla della recessione, in Italia dell’ombrellone
La settimana di Ferragosto che viviamo si porta via i ricordi e gli allori olimpici, e lascia il nostro paese nei suoi dibattiti marginali, mentre tutt’attorno succedono le cose importanti. Che ci riguardano e definiranno i nostri destini, ma sulle quali – sempre più spesso – sembriamo destinati più a raccogliere le conseguenze delle decisioni altrui – subendone gli effetti, o beneficiandone – che non ad avere un ruolo decisivo nei processi che formano le volontà che contano. Ciò è naturalmente vero, a prescindere dal colore e dalla forza di un paese, in un mondo interconnesso nel quale i pesi specifici e quelli relativi sono stabiliti anzitutto dai fattori storici e geografici. E tuttavia, la contingenza del tempo che viviamo ha la sua importanza. Come lo ha il dibattito pubblico nel quale politici e media sono insieme creatori e ricettori degli umori del paese.
Uno sguardo ai giornali internazionali e nazionali spiega bene quel che intendo. Da giorni e giorni, ormai, a partire dal crack di borsa di inizio agosto, il mondo si interroga sul rischio di recessione che spaventa gli Stati Uniti d’America e, per definizione, il mondo intero. I dati dell’economia reale americana indicano la tendenza a una frenata, che potrebbe anche diventare qualcosa di più lungo, duraturo e doloroso di un episodio. I mercati temono che la Federal Reserve proceda con molta – secondo loro: troppa – cautela e lentezza nel processo di abbassamento dei tassi di interesse. Fino a quando il denaro continua a costare molto, però, i consumi resteranno bassi, e questo accentua appunto il rischio di recessione. La debolezza del mercato del lavoro sembra confermare la fondatezza di queste preoccupazioni. Tuttavia, negli Stati Uniti l’inflazione continua a essere alta, più alta che nell’area euro, e questo spiegherebbe la ragione della produzione nell’alleviare la stretta monetaria, rapida e dura, che dalle banche centrali era stata decisa negli ultimi due anni. Di questo parlano i media internazionali, e anche i nostri, e su queste questioni si gioca una parte importante del prossimo futuro del globo. È ovviamente una delle questione che stanno al centro del dibattito elettorale per le presidenziali americane, e dovrebbe occupare quello di tutte le classi dirigenti del mondo: sopratutto di quelle che guidano paesi con un debito pubblico elevato, e un’economia geograficamente molto disomogenea nei suoi fondamentali.
Da noi, al di là delle analisi di editorialisti ed economisti, la questione non è proprio arrivata sulla bocca della politica che conta, nè al governo, nè all’opposizione. Si dirà che se la politica parla, la critichiamo perchè non agisce, e se tace la rimbrottiamo perchè non parla. È anche vero. Tuttavia, la sensazione è che questa omissione sia più frutto di indifferenza e furbizia, che sfrutta il caldo e le distrazioni popolari che in Agosto sono più efficienti che mai, che non conseguenza di un’operosità silenziosa di chi governa o di chi aspira a farlo. Anche perchè, su altri dossier, evidentemente e incredibilmente ritenuti più rilevanti per la costituency elettorale e politica del governo, l’attivismo verbale e legislativo non manca, anzi. Pensiamo al caso dei balneari, che col loro mini-sciopero di due ore, qualche giorno fa, hanno conquistato fiumi di inchiostro e catalizzato tante attenzioni politiche. Perchè un piccolo sciopero di una piccola corporazione desta tanta attenzione, si chiederebbe il nostro marziano che guarda il mondo da lontano? Perchè chiudere gli ombrelloni nel pieno di agosto all’elettore italiano può far paura al consenso degli eletti. E perchè quella piccola corporazione, composta da poche decine di migliaia di elettori, è molto vicina ad alcuni esponenti della maggioranza di governo, e ha un certo potere di ricatto. Tanto forte che, a dire il vero, ha sempre ottenuto proroghe alle concessioni e ammorbidimenti rispetto ai diktat europei, anche quando a governare – lungo questi TRENTA anni di discussione – c’è stata la sinistra. Dai giornali abbiamo appreso, in ogni caso, di un governo in fibrillazione.
Rispetto a molte altri problemi è sicuramente poca roba, in termini economici: forse qualche centinaio di milioni di euro l’anno tra evasione e mancate riscossioni dei rinnovi. Ci sono cose molto più gravi, si dice, a ragione. Eppure, oltre alla giusta considerazione che tante questioni di poco conto, messe tutte insieme, fanno un grande debito pubblico, ce n’è un altra, più grave e importante: la questione politica delle concessioni balneari, più di ogni altra cosa, è una perfetta metafora di una politica italiana preda di piccole lobby anacronistiche. Che ogni estate, e a ogni cambio di governo europeo, torna a manifestarsi in questi termini, per quel che è. Come la febbre di un paese che si pensa e viene pensato, da chi lo guida, come una somma infinita di piccoli interessi particolari, molto spesso confliggenti con un interesse e bene comune. Come una miriadi di eredità di privilegi che arrivano dal passato e non permettono di pensare al futuro in maniera organica, di proporre un’idea di società che vada al di là di quello che pensa ogni piccolo gruppo come fondamentale per sè. In fondo, mentre nel mondo finiscono le Olimpiadi, evento universale per eccellenza, e si pensa alla recessione, tragedia globale per eccellenza, da noi ci siamo occupati di poche decine di migliaia di esercenti che, in barba a una legge sovrannazionale in vigore da circa trent’anni, restano abbarbicati ai loro secchi pieni di sabbia. La stessa che, con regolarità, svuota la clessidra delle opportunità di un paese che non sembra accorgersi di come il suo futuro sia finito, senza nemmeno essere mai cominciato.
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