Partiti e politici
Nei vent’anni berlusconiani ci siamo sentiti (tutti) cittadini di serie A
«Senza Berlusconi l’opinione pubblica si è addormentata». La frase – perfetta – la dobbiamo a Carlo Freccero e mostra per intero il paradosso amaro della storia: abbiamo bisogno di un Grande Nemico per dare il meglio di noi (e anche molto il peggio). Il Grande Nemico non si sarebbe sognato di abbassare neppure mezza mutanda per rimediare a uno sfondone di appena un giorno prima, avrebbe tenuto il punto, magari aggiungendo qualcosina di ulteriormente urticante, così da portarci sulla soglia della massima incazzatura. Invece il ragazzino ripetente è andato al recupero, arrampicandosi e rassicurando, ha chiamato a sé il Tg3, ha garantito sulla volontà del suo Pd di non proporre «liste di proscrizione» (ma può essere mai che uno di sinistra 2015 ci debba garantire che non si stileranno liste di proscrizione?), ha rimandato ogni futura illustrazione del Paese da parte della Rai al direttore generale Campo Dall’Orto che evidentemente il premier ragazzino vede come un sacerdote delle nostre coscienze. Ma capiamoci meglio: Dall’Orto in che senso? Cosa ne sa di giornalismo e soprattutto: a cosa serve un direttore generale applicato al giornalismo? A un beneamato nulla. Piuttosto: quando il servitorello Anzaldi ha detto senza giri di parole che l’azienda si deve adeguare a chi ha vinto, come mai Dall’Orto e Maggioni (una presidente-giornalista peraltro) non hanno vergato una nota congiunta in cui lo mandavano serenamente a cagare? Che capi azienda sareste, se non difendete neppure i vostri?
Senza Berlusconi siamo tutti un po’ più poveri e il paradosso è che siamo più poveri proprio sui principi e sui diritti, sulle basi della convivenza civile, sull’idea che un tempo c’era un solenne, enorme, gigantesco, fondamentale dibattito intorno a quel confine sottile e indistinto – striscia di terra su cui si sono combattute epocali battaglie intellettuali tra fazioni contrapposte – che identificava il discrimine tra giustizialismo e garantismo, tra legittima regolazione del conflitto di interessi e voglia di espropriargli ogni tipo di bene (D’Alema nel ’94: «Voglio vederlo chiedere l’elemosina agli angoli delle strade», salvo poi legittimare Mediaset), tra moralismo da buco della serratura e convinzione che stili di vita pubblici dovessero riguardare l’intera collettività, tra clamorosi editti bulgari e una gestione in realtà assai poco proterva nei confronti delle libertà giornalistiche (non perché gli mancasse la voglia, ma perché non ne aveva effettivamente l’attitudine), e molto altro ancora.
Nel corso di questi vent’anni berlusconiani, a vario titolo ci siamo sentiti cittadini di serie A. Ci battevamo, ci si insultava, ogni aspetto che lo riguardasse si riverberava sulla tenuta finale delle istituzioni, una tensione (morale) era palpabile e non è affatto detto che fosse la parte migliore di noi, perché gli effetti di un antiberlusconismo militante saranno da smaltire negli anni a venire come scorie altamente tossiche. Ma ognuno ha creduto di vivere intensamente il suo tempo, nessuno (o quasi) poteva chiamarsi fuori, riusciva a chiamarsi fuori, e chi lo faceva (oggi invece è abbastanza la norma) veniva segnalato come un fanfarone nella migliore delle ipotesi, come un cattivo cittadino che non ha a cuore le istituzioni, nella peggiore. Abbiamo partecipato, mai come in questi vent’anni la sensibilità è stata altissima, molti si sono posti a difesa della Repubblica, credendola seriamente in pericolo, altri l’hanno presa con quel filo di ironia che forse era necessario, sapendo che il “nostro”, in fondo, era pur sempre un cantante di piano bar prestato alla politica, un simpatico puttaniere da baldoria con gli amici e poi certo anche l’uomo della P2, l’amico degli amici, quello che voleva fare ministro della Giustizia il suo cavallo (Previti) e tante altre terribilità berlusconiani.
Confesso che ho vissuto, potrebbe dire con Neruda un cittadino di quel tempo. Quel che oggi potrebbe ripetere un cittadino di questo tempo? Non si direbbe, a vedere le emozioni sul campo, a valutare le storie politiche, le personalità, le altezze, le tensioni. E certo, qualcuno potrebbe agevolmente concludere che tutto questo non è altro che la conseguenza del ventennio berlusconiano che ci ha stremato, privato d’ogni forza. Un’apprezzabile e rispettabile visione. Sulla quale, se ci è permesso, manteniamo le nostre modeste perplessità.
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