Clima

Musk e il disastro della politica spettacolo: un libro da leggere

18 Dicembre 2023

Ho appena finito di leggere con grande gusto, che lascia un fondo di amaro sulla lingua, “Cari Bambini” di David Trueba. È un romanzo molto politico, scritto benissimo (e benissimo tradotto per Feltrinelli da Pino Cacucci), che ha il pregio di squarciare chirurgicamente il velo della condizione miserevole della democrazia nell’era in cui, almeno in Occidente, le informazioni circolano come non mai e tutti possono esprimere la loro non richiesta opinione. È un romanzo che parla di politica senza ideologia, descrive la parte “sangue e merda” di cui parlava Rino Formica, con l’aggravante dei social, che hanno reso tutto assai più sanguinolento e merdoso. E, cosa che ho trovato interessante, parla di conservatori, che è oggi il campo letterariamente e antropologicamente più complesso, contraddittorio, variegato e affascinante, anche nel male, forse soprattutto nel Male, finanche machbetiano. Trump è un mascalzone più letterariamente affascinante di Biden, la Meloni è materiale di romanzo ben più di Elli Schlein, persino Filippo facci è più interessante di Marco Damilano. Non ho detto migliori, dico più interessanti come materiale letterario, per indagare il legno storto dell’umanità laddove i progressisti hanno scelto di essere dritti come fusi loro e di raddrizzare tutti i legni che incontrano (e poi arriva Milei).

I “cari bambini” sono gli elettori per il protagonista Basilio, un giornalista scrittore un po’ Giuliano Ferrara (per la mole e l’acume da bambino intelligente e un po’ infantilmente carogna per assenza di affetto), un po’ altri giornalisti conservatori un po’ nichilisti, bambinone con un gusto per i nomignoli e la bella scrittura. La bella scrittura la applica per Amelia, professoressa universitaria di Storia candidata premier in Spagna per un partito conservatore, che gira la Spagna in pullman con una variopinta carovana nelle tre settimane di campagna elettore per le politiche cercando di convincere i cari bambini. Che vogliono sentire e vogliono credere alle fesserie che Basilio scrive, e ancora di più alla porcheria che tutti i partiti in campagna diffondono sui social, tra meme, profili fake, strumentalizzazione di ogni cosa per vantaggi effimeri e un po’ canaglieschi. I bambini si stancano presto, magari abbandonano i giochi o  cambiano idea in un secondo, ma continuano ad apprezzare e consumare merendine comunicative piene di grassi saturi, conservanti e coloranti, messi tutti in bella mostra in etichetta e dunque l’industria della politica continua a produrle, anzi produce praticamente solo quelle.

Mentre leggevo il libro, che è lungo ma scorre veloce, ho ripensato sotto queste categorie al menu più recente dell’industria del junk food politico-comunicativo. Le estenuanti meline del Governo alla costante ricerca di nemici, cattivi, complotti; la corsa continua a smarcarsi tra membri della maggioranza; la penosa assunzione al pantheon degli eroi dell’antifascismo di un loggionista per convinto per i suoi 15 minuti di essere un eroe risorgimentale. Ma più di tutto il main course: Elon Musk ad Atreju.

Ci sarebbe da scomodare il reportage “gonzo” del compianto Hunter S. Thompson con le caricature di Riccardo Mannelli per dare conto dell’apparizione dell’uomo più ricco del mondo alla kermesse della Destra, trofeo che si confà al nuovo status del partito organizzatore, al potere per starci. L’Autore di “Better than Sex” avrebbe indugiato da par suo di fronte alle facce grevi dei potenti in prima fila, all’inglese da commercialista che va a Natale a New York dell’intervistatore, alle tirate del nostro, da quelle più gradite sul virus woke e l’insussistenza dell’ansia per il climate change a quelle più gureggianti sulla relazione tra noi e le stelle, che sembravano frutto di un consumo importante di sostanze che la stessa Destra vorrebbe iper vietate. Un grande scrittore sarebbe riuscito ad andare oltre la rilevazione più elementare delle aporie di Musk ospite d’onore della sagra, dove tempo fa ci sarebbe stato al massimo Amedeo Minghi: le canne, appunto, e certamente i figli concepiti con la fecondazione eterologa.

Perché c’era molto di più nello spettacolo di un anarco-capitalista che da un lato aveva cannoneggiato e cannoneggiava ogni potere statuale a botte di tecnologie esponenziali (sin da Paypal) che irridevano nei fatti ogni confine e autorità politica e al contempo invitava a fare più figli per non fare scomparire le identità nazionali, nel più illustre mondialista, privato che da o toglie i satelliti agli Stati, ospite d’onore e riverito a casa dei nazionalisti: c’è la politica fattasi Festival di Sanremo permanente, spettacolo a beneficio dell’audience di bambini, secondo i meccanismi che Trueba così ben racconta. L’importante è essere, provincialmente, vicini a chi è popolare e avere chiari i nemici, almeno retorici.

Ma questa politica, quella della sagra di Atreju come quella che si intesta il loggionista della Scala, si candida così, ideologicamente ancor prima che nei fatti, ad essere sempre due passi indietro ai processi che dovrebbe governare, in primis i Golem tecnologici che cattivi guru come Musk hanno evocato. Ma questo Trueba l’ha capito molto bene, per questo il suo libro è così ben fatto, e fa paura.

 

 

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