Partiti e politici

Morto anche l’ultimo funzionario Pd, come si entrerà in politica?

16 Gennaio 2020

Sulla selezione della classe politica, ci sono tonnellate di cose scritte, dette e pensate. Potete trovare tutto e di tutto, anche ciò che serve per accreditare l’idea migliore/peggiore che vi siete fatti. Quella che vi dà ragione. Nel senso che è un tema scivoloso e liquidissimo, che, riassunto in una domanda, potrebbe ancora sintetizzarsi così: la politica è un mestiere? Sino a un certo punto, nessuno si scandalizzava se a fare la politica erano solo i politici. Politici di professione. Che praticamente lo nascevano, indottrinati da piccoli e poi, funzionariato dopo funzionariato, assurti a ruoli di governo del Paese. Era proprio un impianto sociale condiviso, che aveva nei partiti un’architrave solida e indistruttibile. Certo, poteva capitare il governo tecnico che però era appunto un’eccezione e come tale assolutamente compatibile con quella struttura di base. Cementava il tutto l’idea sovrana che nelle poltrone ministeriali si dovessero sedere assolutamente dei politici, anche del tutto sganciati – professionalmente parlando – dalla materia cui poi avrebbero sovrinteso. Il ministro, ancorché sprovvisto dei fondamentali della materia, compensava (se compensava) con la sua abilità di coesione, la capacità di scegliersi dei tecnici di primissimo livello, e soprattutto con la sua meravigliosa tensione a sentirsi davvero un servitore dello stato. Questo passaggio, che in tutto quel tempo non fu mai materia di discussione, da un certo momento in poi divenne questione molto controversa e ancora oggi estremamente dibattuta. Oggi il significato della parola competenza, applicato alla politica, si è modificato al punto da sovrapporre le due condizioni classiche, che un tempo restavano a debita distanza di sicurezza: quella del mondo del lavoro, dove la competenza tecnica svolge la sua funzione primaria, e quella della politica, dove in linea di principio la stretta competenza tecnica non sarebbe un elemento dirimente. Non è raro però sentire oggi i cittadini che si lamentano di un ministro perché non ha “i titoli” per stare lì dove sta.

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E allora che cosa è cambiato? Ovviamente il livello della politica, considerazione sin troppo facile e scontata. Con il che accettare, seppur con una certa fatica, anche la possibilità che un semplice scappato di casa possa da un momento all’altro diventare ministro della solenne Repubblica Italiana.
Ora però, all’orizzonte, c’è un fatto nuovo. Che davvero potrebbe cambiare gli scenari futuri. Sta per andarsene anche l’ultimo funzionario di partito, va a morire l’estremo testimone di quell’impianto sociale condiviso che abbiamo conosciuto come prima, seconda e parte della terza repubblica. Stanno per morire Zingaretti, Cuperlo, Franceschini, gente dentro i partiti sin dai tempi del latte in polvere, e se abbiamo pronunciato solo nomi di sinistra ci perdonerete ma cascami di quella scuola celebrata sopravvivono ancora alle turbolenze della contemporaneità e alle accelerazioni del progresso scientifico. Ci vorrà forse ancora qualche anno, ma la fine è nota. Per carità, anche uno scolaretto come Renzi odora di funzionariato, quello bianco della Democrazia Cristiana, che proiettò ben presto il nostro ex royal baby dentro le cerimonie politiche, sapendoci fare come è storia conosciuta. Se il Partito Democratico è un po’ il centro di tutto questo funerale, gli altri hanno comunque consistenti quote mesozoiche, da Fratelli d’Italia a Forza Italia, dove hanno transitato e gravitato pachidermi di un tempo che fu. Fa ovviamente eccezione, essendo nato ieri, il Movimento Cinque Stelle, di cui si parlerà più avanti.
A questo punto la domanda è semplice: morto anche l’ultimo funzionario di partito, come si entrerà in politica, quali saranno i criteri di scelta? Che cosa servirà davvero, una competenza stretta in una certa disciplina, l’attitudine a non sapere nulla, la dea fortuna d’essere lì in quel momento, o di passare di lì, insomma attraverso quale percorso si formerà il nuovo Parlamento a scartamento ridotto? Possiamo già dire che i professionisti dei mestieri resteranno nei loro celebratissimi studi, a meno di non istituzionalizzare – e in parte è già così – la figura del parlamentare-professionista che lavora 36 ore a Roma per il cittadino italiano e il resto del tempo per i fattacci suoi. Sotto questo cielo, la vicenda Renzi pare perfetta per spiegare il fenomeno. Nel suo tempo “libero” da impegni parlamentari, il senatore fa conferenze all’estero, ottimamente retribuite, al punto che con queste consulenze, assolutamente lecite, Renzi ha pagato buona parte della sua nuova casa. La morale è che grazie alla sua esperienza in politica, dunque strettamente legata al concetto di civil servant, Renzi guadagna in privato. E lo fa in tempo reale, non a fine mandato, o al termine della sua parabola politica, come accade piuttosto regolarmente ai leader internazionali. C’è una questione di stile in tutto questo? Probabilmente sì. L’interessato però ha buon gioco a rispondere che è prassi comune e su questo ha perfettamente ragione, perché i deputati-avvocati continuano

a lavorare a studio, e così anche gli altri professionisti che siedono in Parlamento. Sostanzialmente, un Parlamento a cottimo. Volendo, anche una visione suggestiva e rivoluzionaria: il primato della politica che si comprime al punto di condividere gli spazi con gli interessi personalistici.
Realisticamente, nessun professionista, è bene saperlo prima, “congela” la sua vita professionale per cinque anni. Nessuno chiude baracca e si dedica anima e corpo solo alla politica “per il bene del Paese”. Nessuno può permettersi il lusso di non aggiornarsi professionalmente per un tempo così lungo. Tornando a casa, a legislatura conclusa, nessuno lo riconoscerebbe più.

Quindi un Paese deve rassegnarsi a non avere i “migliori” in Parlamento, i suoi uomini più stimati nelle professioni, le menti più lucide? Questo, effettivamente, è un tema sul quale tornare a dibattere. Perché lo fecero già i nostri padri, arrivando alla conclusione che sapete. Ecco perché un bel giorno lontano nacquero la politica e i politici. Persone che grazie ai partiti si sarebbero dedicate solo a quello, al bene comune, all’organizzazione sociale, alla costruzione di una visione collettiva. Questo erano i partiti, svincolati dalle emergenze personali ma parte di un’impresa più grande, collettiva. In linea ideale, ancora un’idea luminosa ma ormai, nel tempo moderno, totalmente anacronistica. Di tutte le fratture e le ferite che ha prodotto Tangentopoli, questa forse la più dolorosa. (Ovviamente, per sostenere ancora l’idea etica della politica, i soldi per far vivere i movimenti li deve mettere lo stato. E visto che siamo in tempo di anniversari, sì, il finanziamento pubblico è ancora uno dei pilastri della buona politica.)
Li abbiamo evocati poco sopra. Un bel giorno sono arrivati i Cinquestelle e niente fu come prima. All’inizio Grillo ha cambiato molte cose, molti accessi al tempio del potere, tra cui, il principale, è stata la selezione di una nuova classe “dirigente”. Dopo qualche anno, si può serenamente concludere che questa operazione, ancorché felicemente confusionaria, venne immaginata assolutamente ad minchiam. Nel senso che un senso non l’aveva. Era davvero la fiera del primo che passa di lì. Non facevano testo i titoli di studio, né tanto meno quelli professionali, vinceva il biglietto della lotteria chi ci aveva davvero creduto. Anche questo, per carità, un merito. Ma non ha lasciato nulla, nessuna semina ha prodotto alberi, nessun raccolto, al punto che oggi se davvero c’è una colpa e colpa grave, che tutti noi cittadini stiamo scontando, è quella di non averci fatto capire chi è davvero bravo all’interno del Movimento. Un pastone indistinto, in cui al massimo si conoscono le solite quattro facce in croce. Mai una sorpresa, mai un brivido, mai una personalità che emerge, che si fa largo. Tutto estremamente controllato. È questo il mondo che immaginava Gianroberto Casaleggio? Se era questo, caro Davide, è un mondo che ti fa due coglioni così. E che alla fine non ti fa vincere nulla.

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C’è un grande problema di selezione, dunque. Chi ci mette mano prima, con qualche idea suggestiva, in cui unire competenza a passione politica, probabilmente sarà il primo a sorriderne, a vincere qualcosa. Il Partito Democratico è il primo indiziato: morto anche l’ultimo funzionario, cosa resterà?

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