Partiti e politici
Moro-De Mita-Ruffilli: siamo ancora qui?
La morte di Ciriaco De Mita ha segnato una fine? Certo una fine c’era già stata per il suo progetto di rinnovamento dello stato e della politica italiana.
Ho rivolto qualche domanda a Francesco Prina, formatore di giovani alla politica e protagonista di una lunga stagione di impegno in prima persona nelle istituzioni e nel Partito democratico.
Prima domanda: nel 1988 dopo una giovinezza tra gli scout, entri nelle Acli. Il tuo ingresso coincide con la partecipazione ad un congresso in cui Giovanni Bianchi viene eletto presidente. Ciriaco De Mita vi tiene una relazione e Giovanni Bianchi lo presenta come l’uomo destinato a rinnovare la politica italiana. Prova con qualche tratto a fare una fotografia di quegli anni…
1988, dieci anni dall’uccisione di A. Moro. Sono sposato da tre anni ed ancora responsabile nei campi scuola nazionali per educatori scout. Decido di partecipare al mio primo congresso delle ACLI al Palalido di Milano con Giovanni Bianchi rieletto presidente nazionale che rilancia il movimento come “lobby democratica e popolare”: verso un cattolicesimo sociale, riunito in forum, capace di riformare la politica. Io come moltissimi giovani di allora, pensavo di cambiare il mondo, attraverso la Politica, quella dei movimenti, dei sindacati, delle cooperative sociali… insomma la Politica con la P maiuscola della Società Civile e non quella dei partiti, pensavamo allora…
Ricordo con notevole nostalgia la clamorosa ed applaudita accoglienza dell’inaspettata venuta di Ciriaco De Mita segretario DC e del suo intelligente e appassionato intervento: “Carissimi Aclisti, voi continuate a lavorare nella società civile, formate i nuovi amministratori e politici per rinnovare i partiti. Io ho due compiti, quello di cambiare la DC col vostro e altrui aiuto e condurre il paese sulla strada di una democrazia “compiuta” realizzando la transizione democratica di Aldo Moro”.
Occorreva passare da una democrazia bloccata da fattori internazionali (guerra fredda), che obbligava la DC a governare, alla terza fase Repubblicana della democrazia dell’alternanza. Questo era il disegno per una democrazia compiuta. Certamente un uomo, De Mita, che al di là delle sue contraddizioni, gli va sempre riconosciuto una visione Politica di alto profilo, quello che purtroppo manca a molti politici di oggi.
Moro, Berlinguer, poi De Mita avevano visione e progetto. Il ceto politico “della prima repubblica” normalmente era di alto profilo, con dei leader visionari. Lo stesso Craxi aveva visione e progetto, ma il suo rapporto con i mezzi ci ha portato ai processi di “mani pulite” e all’anomalia berlusconiana e poi populista che ancora oggi non riusciamo a superare.
Seconda domanda: De Mita è stato soprattutto un uomo di potere. E’ morto da sindaco ma è stato sicuramente non un negoziatore di interessi e rendite, ma un uomo di potere colto e capace di progetti. Tra questi vi è quello, concepito da segretario della Democrazia Cristiana, per portare avanti il disegno di Aldo Moro (trucidato dalle Brigate rosse nel 1978) e dare un volto compiuto alla democrazia italiana. All’inizio degli anni 80, De Mita chiama a sé come suo consigliere per le riforme istituzionali, il professor Roberto Ruffilli. Il suo progetto ha come sintesi il titolo di un suo libro: il cittadino come arbitro. Sono gli anni, dopo il congresso di Bianchi, che tu passi girando oratori, gruppi scout, circoli Acli a spiegare e a formare giovani alla politica dando voce al disegno di Ruffilli che riprende il filo interrotto dell’impegno di Aldo Moro. Cosa raccontavi ai giovani?
Certamente De Mita è stato un uomo di potere. L’ha esercitato fino al giorno della sua morte come sindaco di Nusco, ma quale potere? Quello fine a se stesso o per se stesso o quello finalizzato al bene comune possibile?
Il nostro “intellettuale della Magna Grecia”, all’apice del potere, come segretario della DC e presidente del Consiglio dei ministri, per realizzare la democrazia “compiuta dell’alternanza” chiamó uno dei migliori pensatori e costituzionalisti italiani, Roberto Ruffilli. Il quale pensava una riforma per ridare il potere di scegliere il governo della Repubblica alla maggioranza democratica dei cittadini elettori. Insomma ridare lo scettro del potere al popolo (principe) e non ai partiti. Questo tentativo di normalizzare la vita democratica del paese, passava attraverso una riforma costituzionale ed elettorale elaborata e già in fase avanzata, ma come Aldo Moro prima, 10 anni dopo, il 16 Aprile 1988, anche Ruffilli venne ucciso dalle Brigate Rosse. E così la transizione degli anni ‘80, con innumerevoli anomalie tutte italiane (Berlusconi e 5S compresi) è arrivata ai giorni nostri.
Tuttavia negli anni ‘90 si è riusciti a dare una riforma ai rami bassi delle istituzioni.
I comuni hanno avuto un’autonomia statutaria e una legge elettorale che funziona, come le regioni. La notte stessa delle elezioni tutti i cittadini che hanno votato sanno chi è il proprio sindaco o presidente e la maggioranza che governerà per cinque anni. Quello che invece non riusciamo ancora oggi ad avere a livello nazionale. Tutto è ancora in mano ai partiti, o meglio, alle macerie che sono rimaste. La società italiana, non si sente più rappresentata dai partiti attuali, che per la maggior parte sono diventati dei semplici comitati elettorali, con una vita pseudodemocratica al loro interno. Partiti e movimenti dal fiato corto, che vivono dell’immagine del proprio leader, alla ricerca del consenso elettorale secondo i desideri della pancia del paese, senza visione e progetti di lungo respiro. Liquidi e incapaci di ritrovare un’identità riconosciuta dalle componenti della società odierna.
Niente paure, ancora oggi come ieri, a tutti i giovani di buona volontà, nonostante le contraddizioni, indichiamo e testimoniamo l’impegno politico come bello e positivo atto di generosità verso il prossimo. Tuttavia, la Politica seria, come tutte le discipline, ha bisogno di studio, fatica e dedizione e con una presa di coscienza particolare: richiede un esercizio del potere pubblico, con tutti i suoi vincoli e conseguenze.
Terza domanda: il seguito del tuo impegno è stato nelle istituzioni, come sindaco, consigliere regionale e deputato. L’impressione netta è che l’omicidio di Ruffilli ad opera delle Brigate rosse abbia interrotto un disegno di ammodernamento delle istituzioni in Italia e stabilito una cesura che ancora oggi non abbiamo superato. Condividi questo giudizio?
Attraversata una lunga militanza prima educativa, poi formativa e di azione sociale, a quarantuno anni sono stato eletto con una squadra ed un progetto, sindaco di Corbetta, la mia città, vicino a Milano. Dopo due mandati, entravo a far parte del consiglio regionale della Lombardia e poi deputato della Repubblica, anch’io uomo di potere?
“È l’esercizio del potere della politica a guidare la società o la società che guida le scelte dei politici?”. Questa grande dialettica Moro-Andreotti, riportata più volte da De Mita, indica una concezione del potere della Politica (da parte di Moro) come servizio disinteressato ma con una visione dichiarata e un responsabile progetto per condurre la società verso determinati traguardi, attraverso le sue istituzioni.
Poi nella realtà storica del nostro paese, sono intervenuti fattori esterni illegittimi e violenti di cesura che non hanno permesso ai progetti politici di realizzarsi. Vedi prima l’omicidio Moro, “la notte della Repubblica”, e poi il tentativo di De Mita con Ruffilli anche lui trucidato dalle Brigate rosse.
Sono più di trent’anni che aspettiamo un riforma costituzionale ed elettorale capace di sbrogliare il nodo della rappresentanza, della governabilità, della normale e legittima alternanza al potere delle forze politiche democratiche nell’istituzione principale della Repubblica parlamentare italiana.
In questa infinita transizione democratica-istituzionale, i partiti ed i loro dirigenti devono avere un soprassalto di lungimiranza e di visione. Il loro compito è quello di gestire in modo condiviso e completo il passaggio al terzo tempo della Repubblica, compiendo quelle riforme costituzionali ed elettorali che permettano di completare una transizione dalla democrazia della rappresentanza a quella decidente.
È impareggiabile ed insostenibile il confronto della stabilità dei nostri governi (una media di 1,6 anni di durata), in confronto con quelli tedeschi con una media di quasi 9 anni. L’instabilità degli esecutivi Italiani è il vero “tallone di Achille” della nostra democrazia, occorre provvedere al più presto per evitare che il conflitto tra i partiti degeneri ed il paese vada verso la deriva dell’ingovernabilità politica. Quante volte ancora il presidente della Repubblica sarà obbligato a scegliere un capo del governo “tecnico” fuori dai partiti? (Dini, Ciampi, Monti, Draghi e poi chi ancora?)…
Nei primi anni ‘90 la politica aveva promesso al popolo italiano una democrazia (compiuta) maggioritaria e decidente. Si è passati dal proporzionale al maggioritario costruendo un percorso che poi, in realtà, non ha cambiato la forma di governo, rimasto ancora proporzionale, instabile e non decidente.
Oggi, vi è una legge elettorale parzialmente maggioritaria, ma dal 1991 ad oggi gli esecutivi italiani sono sempre stati proporzionali ed instabili. Questa asimmetria istituzionale, Parlamento bipolare maggioritario e governo proporzionale, ha illuso l’elettorato, che è ridiventato sempre più liquido, ma con “una pistola carica in mano” che in 5 anni ha già sparato tre volte uccidendo la maggioranza precedente per una nuova (Renzi, Lega, 5S), cambiando freneticamente alla ricerca dell’arca perduta che nell’attuale situazione politica dei partiti ed istituzionale non c’è.
Dal ‘91 in poi si è detto ai cittadini: “voi potete scegliere, il vostro voto serve perchè noi politici in Parlamento ed al Governo possiamo rappresentarvi e decidere”. A questo è seguita una forte e lunga disillusione con il conseguente clima di sfiducia e di rabbia che ha contribuito alla formazione di un populismo insediatosi sia destra che a sinistra.
Tuttavia, sentiamo da più parti che dopo l’emergenza Covid nella realtà sociale “nulla sarà come prima”, allora, perchè la politica non deve cambiare?
L’emergenza sanitaria che ha messo a rischio le nostre vite ed ha limitato le nostre libertà ha generato il momento in cui la politica deve compiere una scelta di concordia tra le diverse “fazioni”, come ha saputo fare il 2 Giugno del ‘46 con l’assemblea Costituente: ora, più di allora, occorre riscrivere insieme le regole di una democrazia decidente con governi stabili.
Ci attende una sfida decisiva, ne sarà capace la classe politica odierna?
I partiti avranno il coraggio di aprire un periodo di clima di concordia e decidere insieme -maggioranza e minoranza- le nuove regole costituzionali, elettorali, del Parlamento e del Governo?
“Lo scopriremo vivendo” ma certamente non senza il nostro contributo.
Come la storia ci insegna, le spinte per i cambiamenti, anche istituzionali, nascono dal basso dalla mobilitazione dei cittadini, e dei corpi intermedi.
Che il 2 Giugno, festa della Repubblica sia il momento della presa di coscienza collettiva di un percorso per una democrazia più compiuta sia nelle coscienze dei cittadini che nei gruppi dirigenti dei partiti.
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