Costume

Morale e politica: il cortocircuito della festa hard al castello di Varano

20 Agosto 2019

In una sonnacchiosa estate padana, il paese di Varano de Melegari – in provincia di Parma – è stato nei giorni scorsi al centro delle cronache locali e nazionali per una notizia che ha messo in forte imbarazzo l’amministrazione locale. Nella notte del 20 luglio infatti il castello della cittadina ha ospitato una festa privata molto particolare, organizzata da un’associazione che, da 13 anni, realizza eventi “estremi” itineranti. Sul sito dell’associazione la filosofia è suggerita, a parole, ma piuttosto esplicita negli scatti fotografici. Decadence infatti si pone come “Un’estrema espressione di eleganza e diversità” e propone serate che possano unire persone provenienti da sottoculture, ambienti e generi musicali differenti provenienti da ogni parte d’Europa. Le foto mostrano effettivamente un mix vario di differenti approcci estremi, tutti accomunati però da una propensione, molto più che ammiccante, verso quello che i più definirebbero come “divertimento per adulti”. Cosa accade a Varano quindi? La notte del 20 luglio il castello viene dato regolarmente in concessione, come avviene per molte altre attività e feste private, all’associazione. La serata si svolge, secondo quanto riportato dalla stampa, a ingresso riservato ai soci (anche se, sulla pagina social, l’evento è sponsorizzato “senza tessera”), ma, al termine dell’iniziativa, ormai a tarda notte, alcuni partecipanti decidono di proseguire “i festeggiamenti” per le vie che portano al paese.

Qualcuno riferisce di aver assistito ad atti osceni nella rotonda sulla statale. Così i cittadini sollevano la questione, segnalano i fatti e in Consiglio comunale la minoranza interviene per chiedere spiegazioni. Fin qui siamo alla cronaca, ma nei giorni seguenti sulla stampa e in tutta la provincia si susseguono i commenti: sui muri di Parma addirittura i volantini “Parlateci di Bibbiano”, apparsi in seguito al caso dello scandalo affidi, vengono corretti a mano in “Parlateci di Varano”. Il dibattito si polarizza, come sempre, fra chi ritiene che, trattandosi di una festa privata – per la quale era stato regolarmente pagato l’affitto dei locali ed erano state ottenute le necessarie autorizzazioni – non si debba sindacare, in maniera moralistica, sulle attività svolte durante l’evento, e chi invece stigmatizza la situazione sostenendo che un’amministrazione locale, rappresentata fra l’altro a livello nazionale da chi sta facendo della Madonna e del Crocifisso le sue icone mediatiche, non possa permettersi “l’errore” di autorizzare una festa, per quanto privata, di questo tenore.

I fatti sollevano però ben altra riflessione, se si vuole approcciare il tema da un punto di vista politico. Prescindendo infatti dalla questione di eventuali atti osceni in luogo pubblico – in questo senso perseguibili – l’esistenza di feste private o locali adibiti ad intrattenimento per adulti è, non solo nella provincia di Parma, un dato di fatto. Che un’amministrazione, avendo in precedenza affidato a terzi la gestione di un bene comunale, stipulando ovviamente un regolamento d’uso, con tariffario e garanzie per la tutela del bene, possa considerare “lecita” una festa privata di questo tipo, potrebbe anche suonare come garanzia di libertà e accessibilità degli spazi per tutti da un punto di vista libertario.

La morale, quale che essa sia, dovrebbe vincolare l’utilizzo di un bene pubblico?

La domanda è sicuramente aperta e coinvolge l’approccio etico alla questione politica (e amministrativa) che ormai da almeno un decennio sta diventando prassi nel dibattito pubblico italiano. Valori, simboli e “filosofie” hanno via via assunto sempre più un ruolo centrale rispetto al programma politico vero e proprio nel dibattito fra partiti e i temi di carattere etico sono forse gli unici a sollevare un certo interesse anche da parte dell’opinione pubblica rispetto – ad esempio – ad altre questioni che, sul piano pratico, potrebbero avere un maggior impatto sulla vita quotidiana dei cittadini. Un esempio? Il dibattito sul gender, che ha animato mesi e mesi della cronaca politica nazionale, non è stato mediaticamente paragonabile a quello sulla flat tax ad esempio, così come il tema della difesa dei valori culturali cristiani (ovviamente intesi in contrapposizione con quelli di altre confessioni) riscuote maggior successo social rispetto alla questione della lotta alle povertà (alla base, questo sì, di quella che dovrebbe essere una buona condotta cristiana).

Una delle ragioni che nel tempo possono aver portato a questa dissociazione (da una parte quello che “rende” nel dibattito politico e dall’altra quello che “servirebbe” far comprendere e valorizzare) è sicuramente l’abbassamento della soglia di approfondimento dei temi all’ordine del giorno.

A scanso di fraintendimenti, affrontare in modo serio e documentato una questione come le radici della cultura cristiana è materia di studio di altissimo livello, ma è stata e può essere facilmente banalizzata nel dibattito quotidiano, facendo leva sulle conoscenze elementari che chiunque può possedere. Trovare invece chi, senza aver affrontato alcun tipo di approfondimento, possieda i rudimenti per comprendere il sistema fiscale italiano è altra cosa. Affrontare in modo semplice e comprensibile il tema, cercare di farsi un’opinione pur non avendo una laurea in economia sarebbe possibile, ma richiede uno sforzo che la presa di posizione emotiva non richiede. E oggi viviamo nello spazio politico dell’emotività. Il processo è banale alla radice e non deve nemmeno scandalizzare: se non veniamo educati, fin da piccoli, ad un’universalizzazione e astrazione dell’esperienza personale, penseremo sempre che tutto si riferisca a ciò che siamo, che conosciamo, che possiamo comprendere senza tanto sforzo. Il famoso “Una volta mi è capitato…” e “A casa mia funziona così”. La ragione per cui ci commuoviamo alla notizia della morte di un bambino che viveva nella nostra città, ma non conoscevamo e (volutamente generalizzo) non per quella di un bambino morto in guerra a seimila chilometri di distanza, ha a che fare con questa incapacità di astrazione dal personale, dal locale.

Tutto questo ha importanti implicazioni politiche e lo vediamo ogni giorno negli scatti dei leader di partito, nelle dichiarazioni generaliste sui valori, nell’appello costante all’appartenenza ad un “noi” (gli italiani, i cittadini onesti, i cattolici, i laici, le famiglie tradizionali, il “popolo sovrano”) che non esplicita mai in modo chiaro in cosa consista l’applicazione pratica – e politica – del piano valoriale, ma che fa di questo piano valoriale il suo programma.

Un sistema che, in parte, richiama l’approccio poco europeo e molto statunitense, della politica legata alla “bontà” della persona. Un sistema nel quale il politico non viene valutato solo (o principalmente) per il suo operato, ma anche e soprattutto per ciò che incarna con il suo vissuto privato e i valori di cui si fa portavoce. Solo che non sempre questo ostentato piano valoriale ha poi delle effettive implicazioni dal punto di vista dell’operato politico e, a questo punto, si crea un cortocircuito.

E torniamo quindi al caso Varano. L’amministrazione locale, a guida leghista, attenta a schierarsi, in ogni momento, contro eventuali pericoli per la morale, la famiglia tradizionale, l’identità di genere, non vigila a sufficienza su quanto avviene in uno spazio di cui, pur avendo dato una concessione, dispone. E non uno spazio qualsiasi. Non vigila al punto di non aver nemmeno valutato sommariamente il “contenuto” della festa privata in questione (uno sguardo distratto al sito avrebbe chiarito immediatamente la tipologia di evento) e, se non si fosse sollevata la voce dell’opposizione consiliare, non si sarebbe certo impegnata nella difesa, pur a posteriori, della moralità in paese. Anche il dibattito figlio di questa situazione mostra come, di fondo, non venga percepito in modo stringente il nesso fra il “predicare bene” e il “razzolare come capita”: chi difende il diritto dell’associazione a svolgere la festa puntando il dito contro i moralisti che accusano la giunta di aver agito in modo disattento, dimentica che questa giunta non rappresenta il loro punto di vista, anzi – almeno a parole – rivendica una morale contro la quale i libertari si scaglierebbero. Viceversa, chi sostiene che la morale vada difesa dalle minacce rappresentate da questo genere di contesti, dimentica di chi dovrebbero essere le responsabilità di difesa. I ruoli si confondono e, nella confusione generale, il dibattito sull’opportunità di porre dei vincoli per le manifestazioni ospitate in un importante spazio storico del Comune perde di contenuto e si trasforma dai giornali ai social, passando dal bar, in una lotta morale nella quale, a conti fatti, non si riconoscono più i termini di accusa e difesa. La mancanza di approfondimento rende il tema sfocato e la reazione emotiva ci fa dimenticare, ancora una volta, che la questione non si dovrebbe ridurre al definire se sia moralmente giusto o sbagliato realizzare (o partecipare) ad eventi di questo tipo in qualità di privati cittadini, ma cosa debba o non debba autorizzare un’amministrazione, a quali valori debba rispondere, dopo averli promossi in campagna elettorale, cosa sia meglio per l’interesse della comunità. Anche il concetto di comunità però implica un’astrazione e, forse per questo, risulta sempre più complesso in politica ragionare in termini democratici di rappresentanza e non di opinionismo del nostro piccolo orticello personale.

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