Partiti e politici
Molto rumore per nulla
Il teatrino dei commentatori che interpretano con sagacia da aruspici le mosse e contromosse dei vari leader politici (in queste ore tiene banco la sceneggiata napoletana del triangolo Salvini-Di Maio-Berlusconi) può andare bene giusto per animare i talk show nell’attesa dell’avvio della legislatura; ma è piuttosto ovvio che, alla fine del tunnel delle procedure istituzionali e delle consultazioni, troveremo l’eterno ritorno delle larghe, anzi larghissime intese.
Il Movimento Cinque Stelle ha come opzione principale un rapido ritorno al voto; come piano B, il ritiro indignato sul colle dell’opposizione. Non può infatti dialogare costruttivamente con nessun’altra forza politica, perché i suoi elettori vivrebbero qualsiasi accordo di governo come una manovra di palazzo, un inciucio con la casta; ma soprattutto perché, scegliendo tra la destra e il Pd, dovrebbe rinunciare al comodo status di partito “né di destra, né di sinistra”. L’unica strada che di Maio ha davanti è quindi presentarsi al Capo dello Stato chiedendo l’incarico per un governo di “pura razza Cinque Stelle”, cui le altre forze politiche dovrebbero dare un sostegno esterno: un’operazione così sballata che c’è da dubitare persino che Mattarella conceda un pre-incarico (che si risolverebbe comunque in uno scontato fallimento). Dopodiché i pentastellati si ritirerebbero nella torre d’avorio della minoranza boicottata, che è da sempre la loro vera vocazione.
Gli altri principali partiti non hanno invece alcun interesse a una fine ravvicinata della legislatura: infatti, in una nuova chiamata alle urne Pd e Forza Italia vedrebbero il proprio consenso calare; quello della Lega potrebbe crescere, ma non tanto da ottenere una maggioranza autonoma che invece andrebbe, più probabilmente, al M5S. In effetti Salvini è condannato a tenere in piedi la coalizione di destra a qualsiasi costo, per poter capitalizzare la sua leadership su una forza politica che rappresenta un terzo degli elettori, anziché ridursi al ruolo di capo di un singolo partito di consistenza comparabile a quella del Pd. Quanto ai Democratici, per loro la prosecuzione della legislatura è una questione di vita o di morte, dato che il loro partito al momento è in cocci.
Le larghissime intese Lega-FI-Pd sono quindi la soluzione più logica e non scandalizzerebbero nessuno: né gli elettori di Salvini e Berlusconi, per i quali conta soprattutto avere un governo in cui Lega e FI hanno in mano i ministeri più “pesanti” – quelli dell’Economia e dell’Interno – per realizzare le promesse di riduzione delle tasse e contrasto all’immigrazione; né quelli del Pd, che erano già disposti all’alleanza con FI e che troverebbero in Salvini al Viminale un ministro non troppo diverso dal suo predecessore Minniti; né quelli del M5S, che potrebbero ricominciare a lagnarsi che “non cambia mai nulla” e aspettare, con fede incrollabile, la prossima occasione di palingenesi pentastellata. La maggioranza così realizzata sarebbe talmente ampia da poter superare le eventuali defezioni di alcuni singoli parlamentari che non si facessero convincere dai buoni argomenti che verranno messi in campo per giustificare l’operazione.
Sembra un paradosso: il voto del 4 marzo ha premiato soprattutto le forze che si dichiaravano fieramente avverse alle larghe intese; i leader più acclamati sono quelli che con più decisione hanno pronunciato veti irremovibili contro questo e contro quello… e invece la legislatura si reggerà proprio su una grande coalizione, ancora più “grande” di quella precedente. Il risultato delle urne sembrava destinato a rivoluzionare il quadro politico, invece gli assetti di potere rimarranno più o meno gli stessi: molto rumore per nulla, si potrebbe dire.
Come la prenderanno gli italiani? Lo capiremo dal voto delle Europee dell’anno prossimo, ma c’è da scommettere che le cose non cambieranno granché: in fondo, lamentarci del governo ladro quando siamo sotto il temporale ci piace più che provare a procurarci un ombrello…
immagine di paz.ca (CC BY 2.0)
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