Partiti e politici

Michele Serra e il gusto dell’uva acerba

17 Aprile 2020

Non dovrebbe sorprendere che in giro, specie sui social dove, come spiegato da  sant’ Umberto Eco in tempi non sospetti, pascolano legioni di idioti,  ci siano sciacalli pronti ad approfittare di una calamità come quella che sta attraversando il nostro paese e in particolare la regione Lombardia .

Che però un giornale con la tradizione de La Repubblica, diretto da un professionista come Carlo Verdelli, consenta la pubblicazione di editoriali come Il cielo di Lombardia di Michele Serra, lascia alquanto perplessi, visto che in poche righe si riesce a condensare:

1 – sciacallaggio politico nei confronti di una emergenza sanitaria, condito con disinformazione e travisamento dei fatti sul sistema sanitario lombardo, descritto come vittima della miopia affaristica degli avidi capitalisti;

2 – un giudizio approssimativo e sostanzialmente razzista, nei confronti dei connazionali colpiti da una disgrazia, che viene in qualche modo idealizzata come punizione per l’etica del lavoro , che per l’autore evidentemente costituisce un peccato mortale;

3 – un’ ottusa rappresentazione distorta in cui si mescolano e capovolgono fattori esogeni ed endogeni al sistema sociale e si riesce a dare alle vittime innocenti la colpa del male che gli è capitato.

Ecco, se qualcuno dei tifosi nel derby eterno della politica italiana ancora si sentiva superiore, perchè “quegli altri hanno Vittorio Feltri, che se la prende coi Gay e con gli immigrati”, direi che dovrebbe ricredersi: dall’altro lato c’è Michele Serra, che se la prende con i lombardi, che lavorano troppo e sono stati puniti per la loro avidità.

https://twitter.com/lasorelladikarl/status/1250834623048880138

Se l’obiettivo dell’articolo era infiammare gli animi e fomentare l’astio, si può dire che sia riuscito nel suo intento, anche in considerazione delle numerose reazioni indignate sui social network.

Sarebbe facile indulgere nella tentazione del contrappasso e rendere pan per focaccia all’autore, magari facendo caustica ironia sull’immagine della sua rubrica per evidenziare che, forse, chi non ha idea di cosa voglia dire lavorare sul serio, fuori dalla comfort zone dei giornali di partito, avrebbe poco titolo per criticare quelli che conil loro lavoro, le loro tasse e i loro acquisti di libri e giornali finanziano il suo ozio.

Ma sarebbe troppo ovvio e poco utile. Più interessante è  provare a fare qualche riflessione culturale per rimestare nella palude ideologica dalla quale possono emergere articoli di questo genere.

Il primo punto di attenzione è sicuramente l’incapacità di comprendere la natura dinamica e multiformre della società moderna e in particolare la spinta dirompente dell’innovazione. Serra è nato e crescituo in un’epoca in cui gli intellettuali di sinistra godevano dei privilegi dei soprani dello monno vecchio, gli operai  ti votavano per fede religiosa qualunque cosa tu facessi  e il mondo era un posto rassicurante in bianco e nero, diviso in buoni e cattivi, padroni e compagni, fascisti ed antifascisti.

Comprensibile, per chi è abituato all’arroganza del monopolio culturale la resistenza nei  confronti di una realtà fatta di mille colori in cambiamento costante, dove se scrivi una bestialità su un quotidiano nazionale, milioni di lettori possono far sentire la propria protesta in un istante e dargli seguito votando con il portafogli contro i contenuti editoriali inattuali, non accurati o semplicemente squallidi come l’amaca contro i lombardi.

Il secondo punto di attenzione è che alla mancata comprensione per il mondo che cambia e per la democratizzazione della cultura, va aggiunto il disappunto e il risentimento per il posto che la propria ideologia e cerchia culturale occupano nel nuovo mondo: le bandiere di ideali di uguaglianza e di progresso sono state nei fatti calpestate da generazioni di politici e intellettuali autoreferenziali, che hanno contribuito alla demolizione di qualunque ascensore sociale e alla costituzione di un sistema nel quale la famiglia d’origine e il mestiere del padre determinano una parte ancora troppo grande del destino degli individui e dal quale sempre più giovani preferiscono allontanarsi forti della convinzione che sia più semplice cambiare paese che non cambiare il paese.

Ultimo punto da considerare , in cauda venenum, riguarda il sottile desiderio di rivalsa nei confronti del successo altrui tipico degli spiriti mediocri, quelli per i quali il fallimento è una colpa e non un momento di crescita. Michele Serra, come tutti quelli che vivono alla corte dei politici, vorrebbe che Roma fosse ancora caput mundi e, come tutti gli pseudo-giornalisti, che approfittano delle narrazioni  suggestive preferisce  ignorare i fatti che non gli fanno comodo.

Fatti come la quantità di italiani, che pur avendo strutture sotto casa, preferiscono spostarsi per centinaia di chilometri per accedere ai servizi di eccellenza della sanità lombarda. Fatti come le decine di migliaia di giovani che, prima di lasciare definitivamente il paese (talvolta in alternativa) , si trasferiscono al nord per studiare o per lavorare.

Fatti come la resistenza tenace e vitale di un tessuto sociale ed economico ancora vitale e dinamico entro i confini di un paese moribondo guidato da una classe politica inadeguata e dove la nozione decadente di cultura si manifesta con deliranti leggi in favore delle boteghe che vendono libri.

Il signor Serra,  scrittore e giornalista modello di un paese in decomposizione, ci parla del cielo grigio, dell’aria brutta e dell’etica ottusa di chi crede sia un dovere lavorare per vivere ed assicurare un futuro migliore ai propri figli e al proprio paese.

L’assurda cattiveria con la quale attribuisce ai lombardi la colpa di una delle poche disgrazie che non dipendono dalla responsabiità individuale (un oggetto del mistero per personaggi come Serra, ma ben noto a chi vive nel presente e in aree ancora vitali del mondo), non merita repliche o ritorsioni.

Lasciamolo parlare del gusto dell’uva acerba a tutti quelli con il cervello tanto atrofizzato da prestargli attenzione e da vivere ancora in vecchio film in bianco e nero; al termine di questa sfida difficile il mondo tornerà a correre verso il futuro e chi rimane ostaggio dei fantasmi del passato continuerà a restare indietro, senza la possibilità di respirare l’aria del cambiamento o vedere i colori meravigliosi di una realtà preclusa a chi può osservare solo attraverso la lente offuscata del pregiudizio.

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