Partiti e politici

Mi piego e stavolta mi spezzo

21 Settembre 2018

Al di là di ogni valutazione è nota la mia simpatia personale per l’ex Cavaliere, se non altro perché con un Martini tra le mani ci si sarebbe divertiti con lui sulla nave dove cantava e suonava il pianoforte sorridendo smagliante ad ogni signora in grande soirée e ammiccando in contemporanea alla cameriera di passaggio.  Nel 1994 mi diede la impagabile opportunità di non votare le orribili giacche in velluto mille righe beige di Occhetto e gli allora compagni della gioiosa macchina da guerra nonché il silente Mariotto, l’uomo che passò alla storia per avere fatto 13 ma aver perso la schedina.
Un secolo fa, diciamo (D’Alema, cit.).

Nello scivolare degli anni non ho mai creduto che il suo conflitto di interessi fosse peggiore di altri perché almeno era non nascosto, come altri, ma evidente a tutti e i suoi innumerevoli processi mi hanno dimostrato che i check and balance in democrazia non possono prescindere da una visione liberale della stessa: e cioè che puoi avere i migliori strumenti tecnici e anche la migliore costituzione del mondo ma se ci metti dentro i massimalisti poi le cose traballano.

Sono abbastanza certo che la seconda volta che riprovò a governare fosse convinto, oltre che di sistemare qualche, ehm, posizione personale e aziendale, di poter fare a modo suo qualcosa di buono per il Paese ma alla fine pure lui si arrese alla inutilità mussoliniana dell’impegno e annegò le serate in un affollato lettone di Putin; la sua considerazione per l’universo femminile non è probabilmente esente dalla educazione sentimentale maturata quando i casini erano legalissimi, luoghi inimmaginabili per quelli della mia generazione ma probabilmente non scevri di qualche buona intenzione e di piccole galanterie e così al termine delle cene eleganti fioccava sempre il regalo per signorine giovani, generose e forsanche avide. Un posto in uno show, un braccialetto, una candidatura ben piazzata e un ragioniere che girava con i contanti per chiudere le piccole e fastidiose insoddisfazioni. Ma anche qui tra nipotine di Mubaraq e pugliesi incamminate verso i peccati della capitale la magistratura ravvisava qualche illecito e ancora siamo a processi bis, ter e quater nonostante l’ex cavaliere si sia reso socialmente utile e si sia riabilitato agli occhi di (quasi) tutti. La politica con lui di mezzo aveva qualcosa di surreale, tragico ma non priva di squarci umoristici e le sue assenze la rendevano più seria ma un po’ più monotona.

Un anno e mezzo fa scrissi su Gli Stati Generali di stare attenti perché l’uomo in campagna elettorale dà il meglio di sé conoscendo come pochi i vizi e i peccati politici e sociali della italica pancia e sapendola saziare come nessuno parimenti seppe fare nel passato. Ci vidi giusto ma non ci azzeccai perché ero convinto che gli italiani si fidassero ancora dell’arzillo marpione più che del giovane felpato: come è noto la somma fa il totale ma gli addendi si invertirono, il cdx prende sempre più o meno gli stessi voti ma la radicalizzazione nella quale il Dottore (l’ex Cav) era maestro premiò chi era più radicale di lui (Nenni docet, anche se non so se del personaggio avete memoria) tanta era la insoddisfazione diffusa su tasse e immigrati sulla quale i suoi giornali e le sue televisioni soffiarono per mesi (non soli, a dire il vero, perché Tafazzi è vivo e combatte in mezzo a noi). Per un attimo durante le patetiche giornate della formazione del governo pensai avesse di nuovo la voglia di fare politica invece che di andare a caccia dei voti scomparsi. Immaginai che con il PD suonato come una zampogna e tutto preso a cantarsela consumando infinite vendette l’ex Cav potesse provare a rappresentare una alternativa moderata che guardasse al futuro (le europee) dato che da mezza Europa lo chiamavano non avendo in nessuna cancelleria e tanto meno nel PPE i cellulari di Salvini e Di Maio. Mi sbagliavo anche qui, il tempo era scoccato ed era partita la frana interna dei suoi più o meno aficionados, molto meno seri delle ragazze di cui sopra: camerieri, servi della gleba e peones già scivolavano o cercavano un barcone per immigrare con estetica dignità e sostanziale ignobiltà verso le felpe al vento dei sondaggi. E così una posizione che nel deserto della politica poteva avere un pur minoritario senso politico è finita sfarinata come un fortino abbandonato della Legione Straniera nell’assolato Sahara.

Ieri la Meloni lo ha dichiarato: torna il Centrodestra! e le ha fatto eco un ex Cav fisicamente segnato che ha presagito novello Otelma il ritorno al Governo. Per ora però si piega alle nomine Rai e poi si piegherà ancora e ancora perché stavolta alla politica ha rinunciato e l’azienda e la famiglia sono le uniche cose rimaste da salvare. Come tutti i viali del tramonto c’è qualcosa di triste perché la politica non è una favola dove vissero tutti felici e contenti ma un palcoscenico dove prima o poi se il copione si scompagina, e Silvio il copione politico lo ha ormai perduto, finiscono le trasmissioni e dopo tanto pragmatismo e tante canne piegate in attesa di tornare a svettare come accadde in tante occasioni ieri si è sentito un secco rumore, secco quanto una canna che si spezza. Non esiste uno schieramento di lotta e di governo, con un pezzo fuori e uno dentro. Esiste quello dentro che ti ha fatto fuori. Peccato Silvio, a sinistra ti rimpiangeranno.

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