Partiti e politici
Mettersi nei panni di Conte e altri scomodi pensieri sulla crisi
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” (B. Brecht – Vita di Galileo)
Tra indignazione e appelli attendiamo pazienti l’ennesimo redde rationem, il nuovo ballo sul precipizio a cui ci ha costretto l’ennesimo rovina feste, che stavolta risponde al nome di Giuseppe Conte.
Un po’ per ingannare l’attesa, un po’ perché da storico mi piace smontare i processi politici come i giocattoli, un po’ per noia verso la bolla che come un sol uomo ribolle di livore contro l’assassino della nostra (a che numero siamo?) ultima speranza, mi sono messo a fare un po’ di ragionamenti di segno opposto. Funzionano lo stesso anche se io ritengo il Premier un fuoriclasse e la linea che persegue mi convince. Ma la democrazia è un meccanismo complesso e fragile, fatto di regole che valgono sempre e di attenzione a ogni sussulto, per cui nell’atttesa un po’ di decostruzione del mainstream non fa male.
Provo a farla in 5 punti:
1. Mettiamoci nei panni di Conte, quelli semplici da leader di partito. I 5 Stelle sono come i Righeira nel 1987, sono fuori moda e non torneranno più, mentre il bagno di Governo non ha portato niente, né ha costruito una classe dirigente credibile, né ha permesso di influenzare l’agenda, a parte il rdc fatto tre governi fa. Il governo in generale e Draghi in particolare svuotano questi partiti barricaderi pezzo pezzo. Che fare? Restare per il bene del Paese? Ma il bene del Paese per noi non è il bene del paese per gli eletti e gli elettori 5 Stelle, su questo bisogna essere adulti. La Volontà Generale è un’astrazione che ha prodotto solo disastri e dittature e la politica è composizione di interessi. Oggi il loro è sbattere i pugni sul tavolo e uscire se non si porta a casa qualcosa, per salvare il salvabile. L’aveva già fatto Bertinotti per motivi molto simili, suscitando la medesima indignazione negli altri. Io non amo né Conte, né il suo partito, ma un po’ li capisco. Piacerebbe a chi non li ama che si zittissero e facessero fare, ma non si può e quindi li capisco. Esercitano una prerogativa democratica e se non piace la prossima volta votate e fate votare meglio.
2. La Democrazia è una prassi che deve valere sempre, anche nei confronti di chi non ci piace, perché nessuno deve toccare nemmeno Caino, figuriamoci Conte. Anche il Parlamento che fa il Parlamento, ossia fra le cose da e toglie la fiducia ai governi deve poterlo fare. Gli appelli di alcuni sinceri democratici, fra cui svetta una lettera aperta a Draghi a firma Italia Viva tipo Troisi-Benigni a Savonarola (“con la nostra testa sotto i tuoi piedi, e ti puoi anche muovere”) in cui lo si invita a fare il governo da solo purché resti sono un brutta pagina di democrazia. È tutto cinema? Sono un brutto film.
3. La Democrazia italiana non funziona più, o meglio funziona ancora peggio di quella di tutto l’Occidente, che non è in forma. L’Avvocato Conte può essere un aspetto di questa malattia, ma prima di lui lo è la base parlamentare del tutto depoliticizzata del Governo Draghi (benché lui sia il Migliore, non c’è dubbio), e il sistematico fallimento di eleggere un Presidente della Repubblica nuovo nel tempo costituzionalmente dato. È cieco sostenere che una cosa sia grave e le altre no, fanno tutte parte della malattia.
4. Mario Draghi ha chiarito in questa crisi la sua natura: è Mr. Wolf, non De Gasperi. È un professionista, il migliore su piazza, che presta la sua opera (competenze, conoscenze, prestigio) a servizio del Paese, nelle condizioni che dice lui, come ogni professionista. Un politico, di fronte alla perdita di un pezzo di maggioranza che non inficia i numeri, avrebbe fatto spallucce e continuato, oppure si sarebbe messo a cercarli, questi numeri, come Cossiga con i suoi “straccioni di Valmy”. Lui ha, giustamente, un’immagine professionale da difendere e di fronte a un pezzo che viene meno, che cambia la natura del Governo da imperiale a molto largo, si tira indietro. È il dark side dell’agenda Draghi. Bene così.
5. Il Paese entra in costante fibrillazione perché è strozzato da debiti e vincoli esterni, che non permettono di fare niente se non andare avanti in modalità accettabile per i creditori. Anche chi ne capisce e ne accetta le logiche deve dirlo e dirselo con sincerità: la politica è ridotta male anche perché lo spazio per la politica è nuovamente al lumicino e le cambiali da onorare nei modi e nei tempi sono troppe e azzerano ogni possibilità di scelta. Come reazione, i partiti (tranne il PD e pochi altri “di sistema”) sono totalmente deresponsabilizzati: sanno che se andranno al governo dureranno pochissimo per il vincolo esterno e che il sistema trova il suo equilibrio solo in governi europeisti e liberaldemocratici, anche laddove non rappresentano la maggioranza degli elettori. Così facendo però, se da un lato si continuano a onorare i debiti, dall’altro si svuota la sovranità, e al postutto la fiducia nella democrazia, come si evince dalla sempre più massiccia astensione.
Problemoni, che rimarranno tali indipendentemente dal risultato di mercoledì, e sui quali toccherà lavorare, altrimenti di mercoledì prossimi ne avremo un sacco d’altri.
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