Partiti e politici
Metà Italia sta a casa. La destra si prende quasi tutto il resto
Analizzando i risultati di queste ultime europee, per le forze di opposizione ci sono molte opportunità di consolazione, molti modi per vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. Il primo, forse il più semplice, è quello di considerare il numero di voti assoluti per ogni partito. In questo caso la situazione appare senza dubbio rosea: l’alleanza Verdi+Sinistra Italiana (AVS) cresce dalle politiche del 2002 di oltre mezzo milione di voti (passando da uno a uno e mezzo); lo stesso Partito Democratico incrementa il proprio elettorato di 250mila voti.
Inoltre, sono proprio le due formazioni dell’opposizione di sinistra le uniche che registrano un saldo positivo tra voti ricevuti nel 2022 e nel 2024. Non accade così a nessun altro partito, né a Fratelli d’Italia, né a Forza Italia né tantomeno al Movimento 5 stelle. E poi, l’attuale forza elettorale del duo AVS+PD passa nel giro di un paio d’anni dal 22,7% al 30,8%, un incremento di oltre 8 punti percentuali. Testimonianza di buona salute e forse di un ritrovato feeling con una parte considerevole dell’elettorato, soprattutto, come capita sempre più spesso, nelle città più popolose. E come sta capitando di nuovo nelle odierne elezioni comunali, da Firenze a Bari, da Bergamo a Cagliari.
Ma poi basta, ci si ferma qui nel considerare gli aspetti positivi di quest’ultima tornata elettorale, almeno per ciò che riguarda la situazione attuale del campo di opposizione. Ovvio: se le prospettive che si intravvedono possono cambiare volto alla storia futura, il presente non è così roseo. Per molti motivi.
Primo fra tutti, il cosiddetto campo largo, che pare stia perdendo spessore ogni giorno che passa: dalle elezioni politiche ad oggi, ha funzionato, a parte quelle grandi città di cui sopra, sostanzialmente solo in Sardegna, mentre in tutte le altre situazioni è stato solo foriero di sconfitte sempre più brucianti, ed oggi deve oltretutto scontare il peso sempre più misero dell’elettorato pentastellato. Che ha certo cambiato pelle, dai suoi esordi e dal governo giallo-verde, e li vede schierati sempre più nel campo del centro-sinistra, ma il problema è che sono sempre meno, oppure preferiscono astenersi con una frequenza piuttosto preoccupante.
Ergo: un’alleanza tra oppositori, anche se tra tutti gli oppositori, non li vede ormai più in maggioranza. Oggi la coalizione di centro-destra è assai vicina al 50% dello (scarso) elettorato che si reca alle urne, e non si vede nemmeno più minacciata da una possibile “santa alleanza” delle rimanenti forze politiche.
Inoltre, la tendenziale crisi dei governi in elezioni mid-term, presente un po’ dovunque nel resto dell’Europa, non pare aver intaccato il consenso di Meloni & co., che ha al contrario – come abbiamo visto – migliorato la propria performance competitiva. E se Pd+AVS sono cresciuti in termini percentuali, i partiti di governo sono anch’essi relativamente cresciuti, grazie alla debacle del Movimento 5 stelle, ormai ridotto ai numeri di Lega e Forza Italia. E chissà se riuscirà di nuovo a risorgere dalle proprie ceneri delle elezioni di second’ordine: dal 33% del 2018 all’attuale 10%, somiglia molto alla deriva leghista, da cui è difficile riprendersi, nonostante in questa occasione abbia goduto dell’apporto “esterno” di Vannacci. Un caso che non può essere replicato per i pentastellati.
Sarà dunque dura, per le forze di opposizione, infastidire l’attuale governo nelle future tornate elettorali: il loro distacco attuale è stimabile tra i 5 e i 10 punti, mentre era più o meno in parità solo due anni fa. Occorre per loro inventarsi qualcosa di molto coinvolgente, per attirare i tanti elettori che sono stufi della politica o, se non lo sono, votano a destra, come è accaduto in molti importanti paesi europei. La destra non è ancora maggioranza nel resto d’Europa, ma è probabile che manchi poco a quel momento.
Università degli Studi di Milano
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