Partiti e politici
Mentre Trump vince il futuro l’Italia sguazza in un passato da operetta
Facciamo finta di fare gli storici, e di raccontare queste settimane con lo sguardo di chi le vede da un futuro piuttosto lontano. Qualche decennio, o anche un secolo. Pensate che storia, la Storia: l’ex presidente degli Stati Uniti d’America, un multimiliardario di destra con precedenti penali di vario tipo e a tutt’oggi inseguito dalla giustizia americana, viene ferito a un orecchio da un colpo d’arma da fuoco, che l’attentatore ventenne spara indisturbato in Pennsylvania, durante un comizio. Siamo nel pieno di una campagna elettorale nella quale il suo avversario, il Presidente uscente, ha mostrato a più riprese segni di debolezza psico-fisica evidenti. L’ultima volta è successo pochi giorni prima dell’attentato, in un dibattito pubblico per la corsa presidenziale. L’anziano presidente democratico si è mostrato confuso, poco presente alle risposte dell’avversario, e perfino alle proprio domande. In molti, nel partito del presidente, si sono messi al lavoro per convincerlo a lasciare la corsa e il campo ad altri. Ma ormai era tardi, bisognava pensarci prima, commenteranno gli storici di domani seguendo le orme degli analisti di oggi. E così, corroborato dall’attentato nel quale poteva rimanere ucciso ed invece è stato solo lievemente ferito, Donald Trump si è trovato lanciato verso un facile ritorno alla Casa Bianca, in un momento delicatissimo per il mondo intero.
Mentre quella campagna elettorale si svolgeva – proseguiranno ragionevolmente i nostri discendenti – gli Stati Uniti d’America erano ancora il più importante e potente paese del mondo. Lo erano ancora, anche se non più come prima. Conservavano ancora, però, il controllo sulla NATO, la più importante organizzazione internazionale in scena dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’unica in grado di fare la guerra, che nella storia di ogni epoca – si sa – era e resta la misura della forza. Proprio per questo, pochi giorni prima dell’attentato di Trump, la NATO si era solennemente impegnata a sostenere in maniera duratura la difesa ucraina contro Putin e l’aggressione russa, che ormai risaliva a un anno e mezzo prima. C’era, ragionevolmente, la paura che un cambio al vertice degli Stati Uniti potesse generare un cambio di rotta, visto che Trump – il miliardario americano ferito all’orecchio nell’attentato – aveva più volte minacciato, in vario modo, un progressivo disimpegno statunitense dalla NATO, in caso di sua vittoria. Ed era probabilmente per le stesse ragioni che l’apparato dello stato e un reticolo di imponenti relazioni nazionali e internazionali erano freneticamente al lavoro per garantire il pieno governo del paese anche in presenza di un presidente, quello uscente, sempre meno padrone di sè. Restava l’annoso problema di ogni democrazia, quello di convincere gli elettori a votarlo ugualmente. Una montagna alta da scalare, che sembrò diventare invalicabile dopo l’attentato, dal quale l’ex presidente uscì rafforzato e vitale, proprio come la sua immagine con il pugno chiuso e il volto insanguinato.
Gli storici non si occuperanno, ragionevolmente, di ciò che nel frattempo succedeva nel nostro paese, che periferia dell’impero era sempre stata, e che adesso è ancora più periferico in un impero che evidentemente scricchiola. La senilità dell’occidente democratico, fotografata in forma drammatica nella contesa americana, aveva una rappresentazione farsesca nel nostro paese. Invece di occuparsi dei molti e seri problemi che riguardano la nostra società e il nostro modello di sviluppo economico, infatti, ogni settimana troviamo il mondo di parlare di cose poco importanti. Per lo più, oltre che inutili questi dibattiti sono anche fastidiosi. È questo sicuramente il caso dell’intitolazione dell’aereoporto internazionale di Milano Malpensa a Silvio Berlusconi, promossa da un ministro che non sa più come fare a far parlare di sè, e che con Silvio Berlusconi, peraltro, ha sempre avuto rapporti formali, diciamo così. Invece di contribuire a far funzionare nel migliore dei modi il sistema aeroportuale di una delle aree più industrializzate del mondo, invece di pensare seriamente a come utilizzare la connettività internazionale come argine al declino e volano di rilancio, il ministro lavora per intitolarlo a un politico che, come atto di massimo rilievo in campo areonautico, lavorò per dare Alitalia, una compagnia di bandiera da decenni sull’orlo del fallimento, a una banda di imprenditori più o meno amici e più o meno vicini a lui. Lo fece da presidente del Consiglio, sfruttando il potere e la capacità di convincimento che discendeva dalla carica, e spinse per costruire una “cordata” che servì solo a far perdere altri soldi, per lo più pubblici, senza garantire un futuro ad Alitalia e, soprattutto, al sistema aeronautico italiano. Di questa buffa intitolazione di un aeroporto gli storici non si occuperanno e anche noi, in effetti, con tutti problemi che ha il mondo, ne abbiamo parlato già troppo.
Caro Jacopo, analisi ineccepibile. Che mette nero su bianco ciò che vado constatando e scrivendo da anni: siamo agli sgoccioli. Il titolo del tuo scritto ricorda un aforisma famoso di Carl Kraus: L’Impero asburgico muore in una catastrofe da operetta. Più o meno, cito a mente. Ma – e ti rubo l’incipit del tuo scritto – guardando da storico il nostro passato, abbiamo mai fatto qualcosa che non fosse l’esagitarsi di manichini da operetta? C’è un passo nei Malavoglia di Verga che è un’amara riflessione sulla distanza, in Italia, tra la politica e la vita della “gente”. Quando alla povera madre portano la notizia della morte del figlio nella battaglia navale di Lissa. Lissa! si chiede la donna. Ma dove si trova? Il paese le ammazza un figlio senza nemmeno spiegarle perché e dove lo ammazza. O i condannati della bellissima novella Libertà. Perché ci condannano? Ma non era arrivata la libertà? Stefano Feltri, in un suo articolo afferma che l’Italia sta perdendo l’appuntamento con l’economia del mondo. Credo che abbia ragione. Ma qua nessuno ne parla. Tutti a inneggiare o insultare Vannacci, come se fosse decisivo per la supposta democrazia italiana approvarlo o condannarlo. Nel tuo articolo sembri non trarre conclusioni o le affidi all’amara ironia del titolo. Io, confesso, vedo nero. Un futuro assai nero – alla lettera – ma che tutti vogliono vedere colorato. Anche nel campo che mi è più familiare, quello della musica e della letteratura, tra le pagliacciate dello Strega e le convulsioni per qualche strillatrice.