Partiti e politici
Meno votano, più la sinistra ha successo
Si stanno chiudendo in questi giorni quasi tutte le competizioni elettorali autunnali; dopo le regionali e il referendum, anche le sfide amministrative dei cosiddetti comuni maggiori sono andate in archivio, con i ballottaggi del weekend appena trascorso. In questi quindici giorni di voto si sono accavallate le consuete domande, come ormai consumata tradizione all’indomani di ogni appuntamento elettorale: chi ha vinto? chi ha perso? il governo ha tenuto? l’opposizione si è irrobustita?
Domande ovviamente un poco oziose, dal momento che i campi di riferimento sono altamente variegati (dal livello comunale di Corsico a quello nazionale referendario), come peraltro le risposte che sono giunte dal fronte politico, in cui ognuno sottolinea quel che più gli fa comodo evidenziare. La destra conquista le Marche, la sinistra tiene in quasi tutti i capoluoghi di provincia e nelle regioni che parevano incerte, il M5s si consola con la pioggia dei Sì al referendum. Tutti vincitori, in qualche modo, secondo la loro personale interpretazione del comportamento degli italiani chiamati alle urne.
Ma pur nella diversificazione così ampia dei terreni competitivi, qualcosa si può dire in merito a quanto è emerso nell’ultima tornata elettorale. Quattro cose in particolare: sul governo, sul Movimento 5 stelle, sul centro-destra e sulle condizioni per il successo del Partito Democratico (o, se si vuole, del centro-sinistra).
Il governo. I riflessi del voto sulla tenuta del governo giallo-rosso sono stati positivi o, quanto meno, non negativi come si temeva alla vigilia. Il referendum ha visto vincitrice la compagine governativa, che si era espressa compattamente – almeno formalmente – a favore del Sì. Il Pd ha mantenuto in maniera netta le regioni che si dicevano in bilico, mentre il M5s ha vinto l’unica battaglia in cui era di fatto in competizione. Risultato? Non avremo elezioni anticipate e la legislatura durerà fino al 2023, complice oltretutto il taglio dei parlamentari di cui molti non verranno più rieletti.
Il Movimento 5 stelle. Il voto amministrativo non si confà alle logiche del suo elettorato, che da sempre si compatta solamente nelle competizioni nazionali. Non è quindi in pericolo la sua tenuta negli orientamenti di voto, ma è ovvio che dovrà presto decidere quale sarà il suo futuro, in vista delle prossime consultazioni politiche. Così com’è oggi, un “partito” in bilico tra logiche di opposizione e di maggioranza, preda di istinti e di partnership variabili, non potrà esistere ancora a lungo. Se da solo non riuscirà ormai più a governare, dovrà scegliere il centro-sinistra come alleato di riferimento e porre Giuseppe Conte, ancora molto amato dagli italiani, come proprio leader. Altrimenti il suo declino sarà inevitabile.
Il centro-destra. La coalizione non è andata male, alla fine. Ha ribadito i suoi due Presidenti uscenti, strappandone un altro in una Regione da trent’anni governata dal centro-sinistra, contribuendo allo smantellamento ormai ufficiale, dopo l’Umbria, della storica “zona rossa”. Certo, le aspettative di un 7-0 o di un 6-1 non si sono realizzate, e questo lascia la sensazione che comunque il centro-destra, ora di fatto bicefalo, abbia esaurito la sua capacità espansiva, ribadita dai risultati delle amministrative della scorsa domenica, dove ha vinto solo ad Arezzo. Con un Salvini incapace di espandersi ulteriormente, anche a causa di candidature forse errate, e con uno Zaia che ribadisce la centralità della vecchia Padania bossiana, il pensiero corre al 1994, con Fini al sud e Bossi al nord. Manca peraltro il Berlusconi di un tempo per una vittoria certa a livello nazionale.
Il centro-sinistra. La tenuta nelle due regioni a rischio e la recente vittoria al ballottaggio in molti comuni maggiori, dove peraltro era già al governo, ha di fatto dato nuova linfa al Pd e a tutta l’area, soprattutto grazie all’apporto di molti giovani dem in molte realtà locali, soprattutto lombarde. Ma, di nuovo, è opportuno sottolineare come il centro-sinistra risulti vincente nelle situazioni in cui l’affluenza al voto è particolarmente bassa. Bonaccini, tanto per fare un esempio non recentissimo, aveva vinto di 20 punti nel 2014, con una partecipazione elettorale del 38%, contro un successo di soli 8 punti lo scorso febbraio, con una partecipazione del 68%. Una sorta di legge ferrea: il centro-sinistra vince se l’affluenza alle urne è bassa, come nel caso dei ballottaggi di domenica; più questa aumenta, più le sue chance di vittoria diminuiscono. Il suo scollamento dalla base popolare è sempre più evidente, e merita certo una riflessione approfondita.
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