Partiti e politici

Matteo Renzi non sa più comunicare, la “crisi mediatica” è un autogol

21 Dicembre 2020

Che sia il solito bluff o una mossa studiata a tavolino per sostituire in qualche modo Giuseppe Conte, la crisi di governo mediatica che sta portando avanti Matteo Renzi in piena pandemia e con gli italiani che dovranno passare le vacanze natalizie in semi-lockdown, rischia di essere l’ennesimo autogol, l’ennesimo atto che rischia di erodere ulteriormente il suo consenso, ammesso che ci sia ancora del consenso da erodere.

C’era un tempo in cui il senatore di Rignano sull’Arno era molto abile a comunicare, a intercettare il sentiment di una parte del Paese. Inutile girarci intorno: la cosiddetta “rottamazione” pur essendo un concetto politicamente aberrante, trovava un senso nell’atavico bisogno di novità degli elettori e sfruttava una certa stanchezza maturata in quasi un ventennio di “Berlusconi sì, Berlusconi no”. A rendere più credibile il tutto, l’evanescenza di una classe politica arrivata al capolinea ben prima della scalata dell’ex sindaco di Firenze. La comunicazione è un pezzo della politica, un pezzo per molti anni considerato secondario, per molti anni quasi snobbato, ma un pezzo fondamentale se si vuole ottenere quel potere che serve ad esercitarla. Un pezzo, appunto, da non confondersi con il tutto: e qui si spiega la veloce ascesa e l’altrettanto veloce caduta dell’ex Presidente del Consiglio, abilissimo a raggiungere  il potere con le sue narrazioni (parola a lui molto cara, non è un caso), disastroso nell’esercitarlo. A Matteo Renzi mancano due fasi fondamentali che un politico non può non avere: la capacità di schermare il ruolo pubblico da personali debolezze psicologiche (e dal proprio ego) e l’arte della diplomazia. Avesse sviluppato una delle due, oggi probabilmente non dovrebbe attaccarsi a uno zero virgola per sopravvivere.

Oggi, appunto. Qualunque sia l’opinione dominante degli italiani su Giuseppe Conte e sul suo governo, tutti sanno che quando si apre una crisi politica il Paese si ferma, o meglio, si innescano una serie di passaggi formali (consultazioni, trattative tra partiti, giuramento di un eventuale nuovo governo, passaggi di consegne) che in tempi normali possono apparire finanche noiosi, ma durante una pandemia con annessa crisi economica più grave dal dopoguerra sono respingenti. Per chi non ti vota diventi un pericoloso incapace, chi ti vota potrebbe addirittura non farlo più giudicandoti un incosciente. È qui che stupisce l’attuale incapacità che ha Matteo Renzi di connettersi a quello che spesso viene definito “Paese reale” (come se ne esistesse uno irreale): se gli occhi sono lo specchio dell’anima, i social network possono essere lo specchio del gradimento dei leader e in particolare di quei leader che sulla comunicazione virale investono per radicare il proprio consenso. Scorrendo i commenti all’ultimo videomessaggio di 60 secondi pubblicato dall’ex premier, le reazioni negative surclassano di gran lunga quelle positive e a giudicare dalla pacatezza di alcune critiche è difficile immaginare che si tratti di uno shitstorm organizzato; più facile dedurre che l’operazione non sia stata capita neanche da molti dei suoi fedeli supporter.

Fosse reale la condizione posta pubblicamente dal capo di Italia Viva per tenere in vita questo governo – i 32 miliardi del Mes – non esisterebbero margini di trattativa e non avrebbe senso non aprire formalmente la crisi nelle sedi politiche. Il motivo è molto semplice: non ci sono i numeri in Parlamento per chiedere quelle risorse, con nessun possibile governo e con nessuna possibile maggioranza. Non ci sarebbero neanche con un governo di unità nazionale perché i partiti contrari al Mes sono maggioranza in entrambe le camere. Qualora poi si tornasse al voto – ipotesi al momento assai remota – i numeri sarebbero ancora più schiaccianti. Va da sé che quella del Mes è una richiesta strumentale, un pretendere qualcosa di irrealizzabile.

Qualcuno potrebbe replicare che non è così, che gli “scappati di casa” del Movimento 5 Stelle voterebbero qualsiasi cosa pur di non perdere le poltrone. Piccolo particolare: dopo il taglio dei parlamentari andare a votare non conviene più a nessuno, perché persino chi vince rischia seriamente di eleggere meno deputati e meno senatori. O meglio, qualcuno a cui converrebbe c’è ed è Giorgia Meloni, che infatti chiede nuove elezioni ogni quindici minuti. Di sicuro non conviene a Matteo Renzi che al momento non riuscirebbe a garantire un posto a nessuno, forse neanche a Matteo Renzi.

Sorge così il fondato sospetto che la virtuale prova di forza abbia come unico scopo ottenere un po’ di visibilità sfruttando i malumori natalizi di un pezzo di elettorato, malumori che però sono già stati abbondantemente intercettati dai sovranisti. Renzi (o chi per lui) non ha chiaro che l’elettorato a cui vorrebbe attingere è quello più preoccupato dal virus e oggi meno propenso ad accettare un periodo di instabilità politica. È un elettorato molto simile a quello che in USA ha portato Joe Biden alla Casa Bianca votando in massa da casa, per non creare assembramenti e per non ammalarsi. L’altro elettorato – quello che questa estate protestava per le discoteche chiuse e oggi si lamenta per il pranzo natalizio sottotono – è già accasato altrove.

Comunque andrà a finire, che Giuseppe Conte resti al suo posto, che arrivi un Mario Draghi o che si torni semplicemente a votare, l’ex rottamatore ormai rottamato sembra sempre più un Matteo Salvini senza Mojito e senza voti. A proposito del “capitano”: con la Lega ormai in costante calo, la “mossa del caciocavallo” del suo omonimo è il regalo di Natale che non ti aspetti. Chissà che non trovi il modo di ricambiare.

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